Concessioni balneari tra Bolkestein e Aristotele - Le Cronache
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Concessioni balneari tra Bolkestein e Aristotele

Concessioni balneari tra Bolkestein e Aristotele

di Roberto De Luca
Si è discusso molto, nell’ultimo periodo, di concessioni demaniali e proroghe: il dibattito, in particolare, si è concentrato sulla decisione del legislatore di prorogare più volte la scadenza delle concessioni originariamente rilasciate – ultima, quella al 2033 (disposta con Legge di Bilancio 2019). Sul tema, poiché nel tempo i vari governi non hanno dato seguito alle ripetute sollecitazioni degli organismi comunitari, la Commissione UE ha attivato una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano, ritenendo che la legislazione in tema di proroga delle concessioni demaniali fosse in contrasto sia con l’art. 49 del TFUE che con l’art. 12 della direttiva Bolkestein.
Come analizzato dagli uffici della Camera, infatti, quasi tutti gli altri Paesi europei hanno legiferato in materia, pur con risultati molto differenti: in Portogallo, la normativa distingue tra licenza e concessione. La prima è necessaria per l’occupazione temporanea delle spiagge con manufatti amovibili per fini turistici e prevede una durata massima di 10 anni, tenuto conto dell’ammortamento degli investimenti. La concessione riguarda invece la realizzazione di costruzioni stabili di non facile rimozione e ha durata massima di 75 anni. Tutte le concessioni sono messe a gara, pur prevedendo la possibilità di un diritto di prelazione per i concessionari originari.
L’estensione temporale delle concessioni è la stessa anche in Spagna, dove sono invece soggette ad autorizzazione amministrativa concessoria della durata di 4 anni attività quali affitto lettini, ombrelloni, ecc., in relazione alle quali l’imprenditore è vincolato ad occupare al massimo metà della superficie disponibile.
In Francia, il rilascio e il rinnovo delle concessioni, affidate ai Prefetti, sono subordinati a gare pubbliche basate sulla comparazione delle domande di concessione, la cui durata non può superare i 12 anni. Il canone concessorio deve tener conto dei vantaggi di qualunque natura che il concessionario ricava dall’utilizzo dello stesso demanio pubblico. In ogni caso, almeno l’80% del litorale deve rimanere libero da qualunque struttura, equipaggiamento o installazione.
In Grecia, la normativa prevede l’assegnazione delle concessioni al termine di procedure di selezione che garantiscano imparzialità e trasparenza, in linea quindi con la Bolkestein, ad eccezione degli hotel che si trovano di fronte alla spiaggia, i quali possono ottenere, a determinate condizioni, un’autorizzazione annuale all’esercizio della loro attività.
In Italia, nell’indifferenza del Legislatore, è dovuto intervenire il Consiglio di Stato, chiarendo che la predetta direttiva si applica anche alle concessioni demaniali, che devono essere dunque sottoposte a procedure di gara. Il Governo Draghi si è mosso in maniera coerente con tale orientamento e con i desiderata comunitari, anche perché le riforme in tema di concorrenza rappresentano uno degli impegni da rispettare per l’ottenimento delle risorse derivanti dal PNRR.
La recente Legge per il mercato e la concorrenza ha prorogato al 31 dicembre 2023, e comunque non oltre il 31 dicembre 2024, l’efficacia delle concessioni demaniali in essere, delegando al Governo successivo (quello attuale) il riordino complessivo delle concessioni demaniali marittime. Ad ogni modo, al fine di non danneggiare eccessivamente gli attuali gestori, è stato previsto una valorizzazione in fase di gara per chi dimostra esperienza professionale nel settore e per chi ha “utilizzato una concessione come fonte di reddito prevalente” negli ultimi cinque anni. Poiché, correttamente, la questione non potrà essere affrontata come un “esproprio proletario”, dovranno essere altresì definiti opportuni valori di indennizzo (o subentro) a favore degli operatori uscenti qualora non dovessero risultare vincitori delle gare, nel caso in cui gli investimenti realizzati non fossero completamente ammortizzati. Anche in base all’obbligo di definizione di clausole sociali, fondamentalmente, si tratta di un adeguamento “soft” alle prescrizioni europee.
I meccanismi sopra richiamati, infatti, dovrebbero rappresentare una sufficiente garanzia di equità complessiva del sistema: definendo in maniera corretta i decreti attuativi, oltre a garantire la libera concorrenza, vantaggi per i consumatori e una maggiore efficienza nell’allocazione delle risorse in un settore “bloccato” ormai da decenni, sarebbe possibile in ogni caso tutelare i gestori e gli investimenti effettuati.
Fatte queste premesse, e analizzando la questione in maniera asettica, appare ancora una volta un po’ surreale la gestione del problema da parte della politica, sia da parte di una destra che si riscopre improvvisamente (?) contro il libero mercato, sia da una sinistra che pure non ha espresso posizioni chiare sul tema (dimenticando, per citare Alesina e Giavazzi, che in molti casi “il liberismo è di sinistra”: banalmente, aprire al mercato consentirebbe anche a chi non ha ereditato una concessione di vincerne una). Si ripete anche in questo caso una dinamica ormai consolidata, che guarda solo al “saldo netto” in termini elettorali, nella paura di perdere i voti di chi vede svanire posizioni di vantaggio, senza per questo la certezza di ottenere il consenso di chi beneficia delle nuove norme.
La “melina” effettuata nel corso degli anni non giova a nessuno, tantomeno agli operatori, le cui proroghe (come già avvenuto di recente) potrebbero essere oggetto di ricorsi e conseguentemente annullate, creando loro danni e generando costi non recuperabili. Non sarebbe meglio normare definitivamente la materia e dare certezza del diritto? Non appare opportuno definire criteri quanto più oggettivi possibile per sfruttare suolo demaniale, che in alcune zone è occupato da lidi privati per il 70% della superficie? Certo, in un’ottica di breve periodo (purtroppo quasi sempre prevalente), avrebbero tutti da perdere: come detto, la politica teme di perdere consensi, mentre i balneatori temono non tanto di perdere le gare, quanto che si metta mano anche alla questione dei canoni di concessione, che in più di qualche caso – a onor del vero – potrebbero essere oggetto quantomeno di piccoli ritocchi. Tuttavia, anche alla luce degli obblighi normativi, continuare a lanciare la palla in avanti non sembra una strategia efficace ma solo un modo per non affrontare il problema, come spesso accaduto in Italia in molti ambiti, salvo generare successivamente risultati a volte anche disastrosi (si pensi solo ad Alitalia o Ilva).
Di conseguenza, la vicenda delle concessioni balneari può essere un ulteriore importante banco di prova per uscire dalla logica del consenso e dei vantaggi di breve termine, sia da parte della politica che degli operatori economici, che hanno a disposizione tutti gli strumenti legislativi per far valere le proprie ragioni. Si tratta “solo” di trovare un punto di equilibrio sostenibile, rinunciando a un piccolo vantaggio individuale immediato a fronte di benefici generali più ampi e più estesi nel tempo: la mesòtes di Aristotelica memoria, in qualche caso, risulta un concetto ancora attuale e apprezzabile.