di Clemente Ultimo
Tante sono le ombre che avvolgono la parte antica della città, rappresentate in primis dal degrado in cui versano numerosi monumenti meritevoli di ben altra sorte e, soprattutto, dalla mancanza di una visione attraverso cui orientare un’azione di recupero e rifunzionalizzazione che ad oggi, in particolare nella parte alta del centro storico, mostra limiti evidenti, non riuscendo ad incidere in profondità nel tessuto urbano. In questo contesto non particolarmente incoraggiante non mancano, tuttavia, delle luci, delle “buone pratiche” che testimoniano della possibilità di intervenire in maniera efficace non solo con azioni di recupero di contenitori di pregio storico-architettonico, ma soprattutto con idee e progetti capaci di dare agli stessi nuova vita. Anzi, di farne centri propulsori di sviluppo territoriale. Uno di questi esempi è senza dubbio l’intervento effettuato dalla Fondazione Carisal – attualmente presieduta da Domenico Credendino – presso il complesso di San Michele, ex struttura conventuale la cui fondazione risale all’anno 981 (o 991, secondo altre fonti) per iniziativa dei conti Guido e Guaiferio. Per secoli il convento ospita le monache benedettine fino a quando, nel 1866, viene acquisito dallo Stato.
Nel secolo scorso ritorna per breve tempo ad ospitare ordini religiosi, fino ad arrivare alla situazione attuale, che vede la proprietà del complesso divisa a metà tra Comune di Salerno e Fondazione Carisal. Proprio quest’ultima nel 2017 si è fatta promotrice di un intervento di ampio respiro, teso non solo al recupero architettonico – strutturale in qualche caso – della propria parte di edificio, bensì di un progetto che mirasse a fare dell’ex convento di San Lorenzo un vero e proprio incubatore sociale, come lo definisce il direttore di Carisal Francesco Innamorato.
“Nel 2017 – dice Innamorato – la Fondazione si trovò dinanzi ad un bivio: valorizzare la parte di complesso di cui era proprietaria o liberarsene. Coerentemente con la propria missione, la Fondazione decise di procedere al recupero della struttura, così da poterla mettere a disposizione della comunità. Ma come? Per avere una risposta concreta, capace di intercettare le esigenze reali del territorio, fu avviata una grande campagna d’indagine: oltre seicento questionari furono compilati e pervennero ben sessanta idee e progetti”. Da questa attività di indagine e confronto – estesa nel tempo ai soggetti interessati ad operare all’interno dell’ex complesso monastico – ha preso forma un’idea di utilizzazione degli spazi, oggi suddivisi in due gruppi: quelli destinati ad ospitare iniziative – prevalentemente a carattere culturale – di breve durata, e quelli che saranno sede di attività di medio e lungo periodo o a carattere permanente. Attività orientate prevalentemente alla formazione ed all’occupazione, accomunate da un’importante caratteristica: la loro sostenibilità economica. L’obiettivo, evidente, è quello di evitare l’insediamento di iniziative di corto respiro, prive della possibilità di incidere sensibilmente nella realtà cittadina. Negli spazi recuperati del San Michele prenderà corpo, ad esempio, il progetto Intesa, nato dalla collaborazione tra il Corisa – consorzio di ricerca partecipato a maggioranza dall’Università di Salerno – e la stessa Fondazione Carisal, destinato all’alta formazione nel settore delle start up innovative. Numerose le richieste di insediamento già al vaglio, mentre nella parte già recuperata ed operativa dell’antica struttura monastica già opera il Centro di informazione europea Europe District.
Il progetto di recupero avviato e realizzato dalla Carisal – con l’impiego di circa tre milioni di euro, interamente a carico della fondazione – ha avuto un importante “effetto trascinamento”: a breve dovrebbe essere firmata la convenzione che prevede la nascita di un Urban Center nella parte di complesso di proprietà del Comune di Salerno. Iniziativa nata grazie ad un bando cui hanno partecipato con successo l’amministrazione comunale, Carisal ed il collettivo di architetti Blam. “In questo modo – sottolinea Francesco Innamorato – siamo riusciti a raggiungere un altro importante risultato, “ricucire” l’antico complesso monastico, attraverso una sua unità funzionale”. Detto dei contenuti, resta da affrontare il tema del contenitore. Ebbene, su questo versante i risultati sono davvero notevoli. Chi scrive ha avuto modo di vedere l’interno della struttura all’inizio dei lavori strutturali, quando i restauratori avevano avuto modo di effettuare solo la messa in sicurezza delle parti artisticamente più interessanti e la campagna di indagine archeologica era solo all’inizio. Oggi la struttura è non solo completamente accessibile, grazie ad un puntuale intervento di eliminazione delle barriere architettoniche, e attrezzata per le attività che ospiterà, ma soprattutto offre al visitatore la possibilità di leggere tutta la storia della sua evoluzione.
E di concerto quella della città. Alcune scelte coraggiose hanno portato a conservare a vista alcune aree di scavo archeologico – particolarmente d’impatto il sepolcreto delle monache –, mentre il lavoro di recupero di alcuni affreschi cinquecenteschi è stato semplicemente eccezionale. C’è da sperare che interventi di questo tipo possano fare scuola in una città in cui il problema non è solo recuperare il patrimonio storico-artistico, bensì individuare nuove funzioni per questi spazi. Possibilmente in una prospettiva di lungo periodo.