Di Antonio Manzo
Più giri nei comuni del Cilento interno e costiero e più ti indicano alberghi, campeggi, discoteche e speculazioni edilizie con investimenti dei clan di camorra del Napoletano che qui avrebbero trovato la “pace” per riciclare danaro sporco. Più giri e più ti fanno i nomi stranoti della mappa criminale ma ora individuati dalla povera gente non sa a chi Santo votarsi per liberarsi di questi “famiglie”. Eccole. E te li declinano anche con errori del ricordo per la giustificata scarsa frequentazione antropologica della povera gente nella mappa criminale del Salernitano e del Napoletano. “Quel bene acquistato all’asta è del clan Funtana…”. La precisazione: “No, signora si sbaglia, sono i Fontanella, un clan di Marano”. Ha ragione da vendere il procuratore della Repubblica di Salerno e capo della Direzione Distrettuale antimafia a dichiarare inesistenti gli spunti informativi forniti dalla polizia giudiziaria e nel silenzio dei Comuni, spesso amministrati da improvvisati politici collusi o dichiaratamente tolleranti con i “più forti” che li aiutano a vincere le campagne le campagne elettorali.
La storia si ripete. Negli anni Ottanta la commissione Antimafia visitò Salerno per sentire e relazionare sullo stato della criminalità organizzata. Furono sentiti tutti i vertici istituzionali ed anche i vertici politici che si inchinarono fedelmente al minimalismo dell’analisi. “Ma allora che siamo venuti a fare a Salerno? Qui ci dicono che tutto va bene” sbottò l’allora, indimenticabile deputato napoletano Emidio Novi. Qui trovi poche voci disposte ad assecondare grida contro l’oppressione dei clan nei piccoli paesi. “I giovani che escono la notte dalla discoteca “il Ciclope” sono dei veri e propri zombie” disse il noto don Gianni Citro all’indomani della tragedia del povero ragazzo napoletano che morì, investito da un masso caduto all’uscita del locale. Ma l’organizzatore del Meeting del Mare, don Gianni, dovette subire la pubblica ramanzina del proprietario della discoteca di Camerota in una lettera dell’imprenditore napoletano Raffaele Sacco coinvolto in diverse inchieste giudiziarie. E lo redarguì: “Quando al Meeting del Mare si verificarono episodi di violenza dipesi da abuso di alcool e stupefacenti accordai il dubbio che le notizie meritavano. Ora non m fai destinatario dello stesso beneficio”. Simone Pandolfi era morto da poche ore nella tragica domenica di agosto e don Gianni fu accusato, dallo stesso titolare de “ il Ciclope” di parole accusatorie e diffamanti. Da queste parti va così. Ed anche i preti vengono messia tacere. Ha ragione il procuratore Borrelli che i clan invadono il Cilento e alla Direzione Distrettuale Antimafia non arriva nessun rapporto. Qui anche i vigili urbani non “debbono” vedere nulla e denunziare. Molti di loro sono stati assunti nei comuni cilentani con un sistema clientelare diffuso sia pure sostenendo regolari concorsi tra le cui prove orale la conoscenza della materia “toponomastica”. Cioè conoscere i nomi delle strade dei comuni per i quali venivano assunti tranne poi essere mandati in altri con il sistema della mobilità chiesta dai sindaci che li accoglievano e grazie ai sindaci che li facevano. E chi volete, ad esempio, che denunci Francesco Antonio Fabbrocino, nipote di Mario Fabbrocino pur conoscendo la via dove vive o opera il titolare nel Cilento di un’azienda di prodotti surgelati e destinatario nel 2020 di una misura di prevenzione con sequestro di ingenti beni che interessò anche un imprenditore di Torchiara. O, sempre nel Cilento, la presenza del clan Cuccaro del rione-Barra di Napoli che monopolizzerebbe numerose attività commerciali sulla costa cilentana o il clan degli “Scissionisti” di Secondigliano con basi operative, d’estate. Ci sono imprenditori di Camerota che con danaro della ‘ndrangheta hanno investito in villaggi e alberghi a Pizzo Calabro, o che con l’acquisto di beni alle aste fallimentari o alle esecuzioni immobiliari hanno scoperto una improvvisa ricchezza. Come nel caso della Vale srl acquistata per poco più di un milione di euro dell’imprenditore Alessandro Carandente, attivo a Napoli nel commercio al dettaglio di orologi, gioielleria e argenteria. Caradente e la moglie sono indicati in un rapporto del Gi.Co. della Guardia di Finanza come soggetti che non avrebbe potuto far fronte all’impegno finanziario di acquisto per un milione di euro. Ed ora costruiscono il complesso turistico alberghiero Kamarina invadendo anche terreni non di proprietà degli esecutati. Abusi edilizi, cemento “turistico” illegale a volontà di numerosi camerotani legati all’amministrazione comunale. Mica possono diventare oggetto di ordinanza di demolizione del sindaco? Proprio no, perché finirebbe nella storica e immutata incandidabilità in piedi dal 2017.





