di Olga Chieffi
Sull’arena del mare si affaccia il “Palazzo della Fiat”. Proprio lì era solito incontrare un po’ di amici Vittorio De Sica, che aveva parenti qui in città e a Giffoni, tra cui quel bel tipo di Don Ottavio, l’estroso maestro “ripetitore” del Teatro Verdi e pianista accompagnatore di Enrico Caruso, un po’ vanesio, che mandava a stirare le camicie a Londra, “perché solo a Londra sanno stirare le camicie”. Sono i racconti di Christian De Sica, ed è il “dire” di chi da piccolo è stato abituato ad ascoltare, a star seduto nel salotto con adulti “grandi”, ad esibirsi per loro, indossando da subito il frac. Claudio Tortora, ha affidato la serata finale del suo premio Charlot a Christian De Sica e Pino Strabioli, i quali hanno ripercorso la vita della famiglia, anzi delle famiglie del grande regista, tra immagini, suoni, parole, emozioni, trasformando l’arena in un salotto. C’è il piacere, da parte di Christian di stare in palcoscenico, non a caso, l’entrata l’ha fatta dalla platea, per rivivere il bagno di folla che è tanto mancato a tutti. Quindi il suo “raccontar-cantando”, principiato con una fast ‘S Wonderful, sempre con la luce pronta a illuminare il pubblico, perché rivelare il privato davanti a un muro nero è impossibile. Pino Strabioli, ricorda le cose che sono accadute a Christian in non pochi anni, divertenti, tristi, tenere e romantiche, come nella vita di tutti. A sostegno di Christian il grande pianista Riccardo Biseo, con il suo stellare sestetto che, a Salerno, schierava Mario Caporilli alla tromba, il nostro trombone Enzo De Rosa, Ferruccio Corsi al sax alto e al flauto, Cristiano Micalizzi alla batteria, Nunzi al basso, degni eredi di Lelio Luttazzi e, in particolare, di quella scuola di arrangiatori, che passa da Morricone a Trovajoli, da Fineschi a Piovani, da Piccioni a Bacalov, che hanno fatto grande e un po’ “nera” la nostra canzone. Nume tutelare della serata, papà Vittorio, naturalmente, perso a soli 23 anni. “Per uno che vuole fare l’attore – dice Christian – e ha il padre che si chiama Vittorio De Sica è una bella fregatura perderlo così presto; gli avrei potuto chiedere tante cose e chissà quante paure mi avrebbe potuto togliere, quanti consigli mi avrebbe potuto dare”. Gli aneddoti che fanno parte di quel periodo, senza nascondere che Vittorio era un grande giocatore e quando arrivava l’estate diceva ai figli “Allora, scegliete: dove volete andare? Campione, Montecarlo, Sanremo, Saint Vincent?” e noi sceglievamo Sanremo o Montecarlo dove almeno c’era il mare. Gli aneddoti vanno ad incastrarsi con un canzoniere che si apre con Lelio Luttazzi – ‘Canto (anche se sono stonato)’ – e passa per Sinatra, con ‘Fly me to the moon’ , ‘New York, New York’ per ricordare Liza Minnelli rinvenuta completamente sbronza di Biancolella d’Ischia sotto il pianoforte di casa De Sica; non prima di aver ricordato l’esordio del Christian cantante allo Sporting Club di Montecarlo davanti al Principe Ranieri e consorte, a Rudolph Nureyev, al cantante brasiliano Sérgio Mendes e al grande Gene Kelly. Montecarlo, dove il pubblico «non è lì per sentirti cantare, ma per controllare come sei vestito». Poi, il grande spaccato della gente di spettacolo: Alberto Sordi – cantato in ‘Breve amore’ (da ‘Fumo di Londra’) e ‘Ma ’ndo Hawaii’ (da ‘Polvere di stelle’) – e ancora Charlie Chaplin, «quel signore scemo che gioca col cappello» Boldi «pessimo batterista, meglio il fratello Fabio», Carlo Verdone ‘comprato’ a versioni di greco (De Sica sposerà la sorella Silvia) e il primo ‘Vacanze di Natale’, capace di risollevare le sorti di un figlio disoccupato al quale quel padre-regista da quattro Oscar, ritratto ai tavoli del jet set con i grandi della terra e donne come Maria Callas, Grace Kelly e Bette Davis, non avrebbe lasciato una lira. «Ma io non ho amato solo il regista», dice Christian, «ma l’uomo, con tutte le sue incongruenze»; anche il giocatore, il capofamiglia di due famiglie e genitore di almeno altri tre figli palesatisi più tardi, l’uomo «di un’altra epoca», e non sempre nel senso più virtuoso del termine. Christian, poi canta la Napoli tanto cara a Vittorio in ‘Munasterio ’e Santa Chiara’, la città chiassosa che zittisce incredibilmente sul ciak di ‘Matrimonio all’italiana’: «Signori, qui è Vittorio De Sica che parla. Dovrei girare una scena con la signora Sophia Loren e il signor Marcello Mastroianni e avrei bisogno di due minuti di silenzio». E dopo i due minuti di silenzio, il regista dice: «Grazie», e i vicoli rispondono «Prego». Vola il tempo, fino agli ultimi ricordi: la telefonata della madre che gli chiede di correre a Parigi e il regista con un filo di voce che dal letto d’ospedale indica al figlio il vestito blu portatosi da casa, «che poi, quando esco di qua, andiamo a Montecarlo o a Campione»; che chiede un whisky con ghiaccio, gli raccomanda la madre e il fratello e, come ultime parole, affinché la morte sia lieve ai propri cari più che a sé, si produce nell’ultimo, sofferto apprezzamento per il fondoschiena di un’infermiera. Finale con ‘Parlami d’amore Mariù’, per bissare ancora in allegria, stavolta col Luttazzi di ‘Chiedimi tutto’, tra gli applausi della platea.