Benché sia fermamente convinta che i teatri siano tra i luoghi più sicuri da frequentare, preferisco scegliere la via della prudenza. Ad una condizione però: che il sacrificio sia realmente generalizzato e condiviso
Mi è stato chiesto più volte, negli ultimi tempi, un parere sulle restrizioni attuate dai recenti Dpcm a sfavore dei teatri e delle sale da concerto. Finora, ho sempre evitato di esprimere lo sconcerto, la rabbia e la delusione che ho provato nell’apprendere che il mio ed altri teatri sarebbero stati chiusi al pubblico prima ancora di bar, ristoranti, chiese e centri commerciali. Il primo impatto delle restrizioni ha interessato ciò che erroneamente è considerato “superfluo”: musica dal vivo, teatro, sport, mostre e musei. La sensazione agghiacciante è quella di sentirsi addosso la certezza che, se fossimo stati su una torre, non abbastanza capiente da poter contenere tutti, i primi ad essere buttati giù, sacrificati per il bene della collettività, sarebbero stati proprio quelli appartenenti a categorie come la mia: musicisti, artisti, attori, cantanti, sportivi (calciatori di serie A esclusi…). Convivo con il disagio dato dalla percezione di far parte di una fetta di cittadini e lavoratori considerata “improduttiva” per il paese e non solo per una questione anagrafica. Tuttavia, come dicevo all’inizio, non ho mai voluto esprimere pubblicamente le mie sensazioni perché, in questo momento, credo sia giusto far prevalere il senso di responsabilità nel considerare necessario un sacrificio da parte di tutti, per salvaguardare la salute e la sanità pubblica. Potremmo trascorrere ore a parlare del fatto che questi mesi dovevano essere impiegati meglio per riorganizzare il settore sanitario, ma sarebbe inutile: ormai la situazione è nuovamente fuori controllo e non serve a niente piangere sul latte versato. Occorre rimboccarsi le maniche e tirare fuori il coraggio di riaffrontare tutto da capo, ognuno con le proprie difficoltà e rinunce. In tutta sincerità, non ho mai preso in considerazione seriamente la possibilità di spostare l’attività musicale nelle chiese, se non per provocazione. Non credo che servirebbe, in questo momento. Io credo che sia più utile pensare a chiusure condivise e generalizzate, almeno nelle zone colpite più duramente dalla pandemia. So che il mio pensiero risulta essere estremamente impopolare, ma il virus c’è ed è ancora molto agguerrito e sarebbe un grave errore negarlo. E benché io sia fermamente convinta che i teatri siano tra i luoghi più sicuri da frequentare, sia per chi ne fruisce che per chi ci lavora, preferisco scegliere la via della prudenza. Ad una condizione però: che il sacrificio sia realmente generalizzato e condiviso. Perché quello che ci ha fatto male e che continuerà sempre a fare male al nostro settore è avere la certezza di essere considerati sacrificabili a favore di altre categorie, considerate necessarie, imprescindibili, utili e/o indispensabili, e dover noi accettare la sconfitta morale di non essere considerati tali.
Valeria Serangeli I clarinetto teatro Carlo Felice di Genova