di Peppe Rinaldi
Che cos’è un sofisma? Secondo la definizione classica si tratta di un ragionamento solo in apparenza valido e vero ma in realtà cavilloso e falso. Ora, non diciamo che sia falsa – in senso giuridico – la corposa nota inviataci dall’assessore all’Urbanistica Salvatore Marisei (che potete leggere cliccando qui sull’allegato 1), di certo si presenta cavillosa. Stiamo parlando della costruzione di un centro commerciale affacciato sullo svincolo autostradale, di cui questo giornale si è occupato a luglio e rispetto al quale l’amministrazione ha inteso chiarire, dopo nostre ripetute sollecitazioni, il processo di formazione delle autorizzazioni ab initio. La materia è complicata di suo, figuriamoci dopo una stratificazione di atti, para-licenze, decreti e sentenze durata quasi mezzo secolo.
Cosa sosteneva, meglio, cosa ipotizzava questo giornale? In sintesi, che si trattasse di una costruzione fuori norma, dal percorso intricato e opaco. La differenza rispetto alla casistica ordinaria era che l’immobile fosse attaccato allo svincolo di competenza Anas, la qual cosa suscitò – e suscita – forti curiosità dal momento che le norme sulle distanze di sicurezza non sono state create per capriccio. Spesso è il contrario e proprio i capricci diventano regola, in certi casi perfino un «diritto». Vuoi vedere che qui ci troviamo davanti a un fatto del genere? ci si è chiesti, anche perché un immobile di tal fattura e collocazione non può non incuriosire, è come se fosse stato costruito nella piazza centrale della città. Invece, per anni, gli organi di controllo territoriale – carabinieri, vigili urbani, polizia stradale, guardia di finanza, forestale, uffici comunali, la stessa Anas, i media, etc. – non l’hanno notata. La curiosità si è rafforzata durante lo «studio delle carte», essendo stato autorizzato (quasi) tutto durante l’amministrazione Cariello con la mediazione di un faccendiere “attenzionato”, come si dice in giudiziarese, dall’antimafia per rapporti con ambienti camorristici dell’area stabiese. Fu costui che curò l’acquisto del lotto nella procedura esecutiva gravante sul precedente proprietario, a sua volta destinatario sin dal 1977 di provvedimenti per abusivismo. Non solo: nelle intercettazioni contenute nell’ordinanza cautelare in danno dell’ex sindaco ci sono passaggi coevi nei quali egli preme su un pezzo da 90 del Pd per un appuntamento con «quel dirigente Anas», incontro che, si presume, difficilmente aveva come tema il famigerato nuovo svincolo in quanto, se di questo si fosse trattato, l’ex sindaco non avrebbe consentito che questa operazione del centro commerciale partisse sapendo che sarebbe stata esiziale per i destini della nuova uscita e della città. Invece fu fatta. C’è chi si spinge ad immaginare che, al contrario, l’operazione sia avvenuta proprio nella “speranza” che un giorno Anas sarebbe arrivata e avrebbe pagato fior di quattrini per l’esproprio non di un’area di passaggio semi-agricola bensì di un suolo edificabile con annesso manufatto produttivo di recente costruzione. Ma sono illazioni, per ora. Torniamo, dunque, al 1990 quando la giunta dell’epoca proprio non poté farne a meno di rilasciare una specie di concessione edilizia (la 265/90 e non la 4832/1989 cui rimanda il comune, quello è il numero di protocollo, ma la licenza edilizia vera e propria dov’è?) all’imprenditore che, essendo al tempo pure un personaggio politico, minacciava ricadute amministrative importanti o qualcosa del genere. Gliela rilasciò una giunta social-comunista per fare una cosa e, ovviamente, ne fu fatta un’altra, il che non muta i termini del problema attuale, anzi li rafforza. Insomma, tutti fattori che messi insieme creano musica per le orecchie di un giornalista.
IL SALTO DI QUALITA’
Oggi l’amministrazione compie un’operazione stravagante, definiamola così, caricandosi l’intero problema con la legittimazione, anche politica, dell’opera: in parole povere, esce di scena Cariello ed entrano Conte & C. Si dirà: ma cosa c’entra la politica, questa è materia degli uffici. Se vogliamo far finta di crederci allora sì, la politica non c’entra nulla: non c’entrava nulla prima perché tracce dirette di Cariello non se ne trovano né se ne potrebbero trovare se non ricamando sui nomi dei protagonisti, dentro e fuori Palazzo; mentre se ne trovano adesso dell’amministrazione Conte dal momento che un assessore, peraltro di peso, come Marisei ha sottoscritto la risposta al nostro giornale, al di là di uno sbiadito richiamo all’istruttoria compiuta dal responsabile dell’Utc e poi trasmessa all’assessorato. Sullo sfondo rimane integra l’iniziale perplessità, quasi un mistero, su come sia stato possibile che i nuovi proprietari, imprenditori conosciuti e stimati, si siano infilati in una bega che già in origine prometteva rogne. Non è da escludere, infatti, che i fari della magistratura si siano accesi, anche perché nel 2019 e nel 2020 giunsero sul suo tavolo un paio di esposti, rispondendo ai quali il comune fornì rassicurazioni non solo diverse ma pure inconferenti rispetto al problema e alla versione fornita oggi. Nel 2020 i vigili urbani risposero alla procura sostenendo che era stato fatto un sopralluogo che non rilevò alcunché di illegittimo e che un geometra comunale (uno di quelli finiti poi nei guai con Cariello) aveva relazionato dicendo che fosse tutto regolare in forza di un provvedimento unico del settore Attività produttive, lo stesso richiamato ora dall’ente: il che, onestamente, fa un po’ ridere. Insomma, le carte iniziano a incastrarsi male per i protagonisti di questa storia e, forse, si mettono di sbieco anche per quei dirigenti Anas che hanno prodotto una relazione dopo nostre sollecitazioni durate circa tre anni, lasso di tempo in sé anomalo ed eloquente. Sarà dal contrasto tra quanto riferito da Anas e dal Comune che nasceranno nuovi problemi: uno dice una cosa, l’altro ne dice un’altra e, come accade sovente in storie del genere, alla fine tutti si incartano.
Il colosso delle infrastrutture italiane, infatti, in una nota – che potete leggere qui nell’allegato 2 – ci ha informato di aver inviato propri tecnici a Eboli (quando?), che questi hanno fatto un sopralluogo sulla base della nostra interrogazione (cioè?) però hanno visionato gli elaborati tecnici del Prg rilevandoli dal web (sic!) e che, per quanto riguarda Anas, non c’è un problema di distanza di sicurezza perché quella struttura rientra in una classificazione stradale che non obbligherebbe al rispetto delle prescrizioni. Però secondo Anas «per il corpo di fabbrica realizzato si ritiene ampiamente cautelativo il rispetto di una fascia di inedificabilità di metri 20 dalla proprietà Anas». «Ampiamente cautelativo» che vuol dire? Su un tema simile una cosa è o bianca o nera, rispetta i parametri o non li rispetta, gli avverbi uniti agli aggettivi servono solo a rendere elastici i concetti. Al di là di questo, Anas dice che non c’è problema con questo centro commerciale perché dal manto autostradale dista 20 metri. Il comune, invece, ci informa che i metri sono 10 in un punto e «più di 10» in un altro: anche qui, «più di 10 metri» può significare tutto e niente, possono essere 11, 12, 30, 40, 50, 1000 metri, 10 km e via all’infinito. Delle due l’una: o ha ragione Anas o ha ragione il comune, quindi, o mente l’una o mente l’altro, sempre che non abbiano strumenti di misurazione difettosi. Oppure ha ragione chi immagina che sotto vi sia un guaio, metro più metro meno.
DECRETI MINISTERIALI
Su tutto si osserva che Anas e comune avrebbero ignorato le due “leggi” fondamentali che regolano la materia: si tratta di due Decreti Ministeriali del 1968 (il 1404 e il 1444) che rappresentano in pratica la “Costituzione” per disciplinare il riordino di perimetri urbani e assetti stradali che ogni Prg futuro, a partire dalla loro entrata in vigore, dovrà inderogabilmente rispettare. Non siamo urbanisti, ma pare non risultino leggi o nuovi decreti che li abbiano superati, quindi sarebbero in vigore pieno e se un ente come Anas o un comune di 40mila abitanti come Eboli non li citano vorrà dire che avranno avuto un motivo importante per non farlo. Ne ignoravano l’esistenza? Peggio mi sento, recita un proverbio. Una lettura dei due provvedimenti indica che né allora né oggi sarebbe stato possibile, con gli strumenti urbanistici vigenti, realizzare non solo quei manufatti ma pure un’indistinta quantità di altri, dei quali ci occuperemo in futuro (se il Comune intenderà anche qui far rispettare la legge consentendo l’accesso agli atti). In effetti, leggendo la lunga e articolata relazione municipale si ha la sensazione che il suo contenuto incarni ciò che comunemente definiamo “fuffa”, vale a dire l’imbottitura di un concetto con numeri e parole spropositati al fine di valorizzarlo, sfrondati i quali rimane poco. Basterebbe pensare che l’ente avrebbe potuto fermarsi al primo capoverso della lunga replica dove sostiene che «tutto nasce da una licenza del 1990 per strutture movibili etc», senza andare oltre. E’ “movibile”, cioè temporanea e trasportabile, la costruzione di oggi? Si direbbe di no, salvo espedienti tecnico-scientifici degni di Elon Musk.
I nostri cinque lettori devono poi sapere che in base al combinato disposto delle verifiche fatte dagli enti interessati, l’uscita dell’A3 di Eboli sfocerebbe nel perimetro urbano secondo il Comune (e qui si cita una delibera di giunta del 2012, la n.44, che non si capisce perché ridisegnò i confini cittadini senza passare per il Consiglio, oltre a non essere stata corredata dagli elaborati grafici) e in quello peri-urbano secondo Anas; le strade circostanti poi cambierebbero classificazione a seconda della lettera alfabetica che ciascuno gli attribuisce: sono strade di categoria “E” per l’Anas e di categoria “F” per il comune, ipotesi, quest’ultima, che alla fine rimanda a una strada interpoderale. Ora, immaginare quel posto come lambito da una strada interpoderale appare abbastanza complicato.
Ancora: ci viene ricordato che il manufatto fu acquistato in una procedura esecutiva, cosa che non sana automaticamente eventuali abusi insistenti sul lotto a meno che, riaperti i termini per il condono edilizio del 1985 (citato nella replica) ove ne ricorrano le condizioni, si attesti la cosiddetta “doppia conformità” urbanistica, cioè l’opera può essere sanata se la norma lo consente oggi e lo consentiva all’epoca. Non sembra essere questa la nostra situazione, anche perché il presunto abuso sarebbe stato commesso dopo l’emanazione del condono, cioè nel 1989, per non dire che già nel 1977 era tale per effetto dei decreti ministeriali di cui sopra.
E poi verrebbe da chiedersi: si è mai sentito che per un’opera del genere o di qualunque altra, si faccia prima una Scia (la comunicazione di avvio dei lavori) e dopo l’istanza di condono e non il contrario? Bene: a Eboli si può fare, lo ha messo nero su bianco l’assessore all’Urbanistica. Il quale, per la verità, annuncia che saranno fatte ulteriori verifiche in sede di collaudo dell’opera. Collaudo? A meno che non si trovi un tecnico 90enne, o giù lì, un collaudo in queste condizioni appare difficile farlo. Vedremo.