Bicchielli: perchè votare no al referendum - Le Cronache Ultimora
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Bicchielli: perchè votare no al referendum

Bicchielli: perchè votare no al referendum

“Sono cinque quesiti demagogici che vanno contro la storia”. Così l’onorevole Pino Bicchielli, vicepresidente del gruppo Noi Moderati alla Camera dei Deputati e responsabile nazionale Enti Locali del partito, si è espresso sul referendum in programma l’8 e il 9 giugno, che riguarda lavoro e immigrazione. “Si tratta di cinque quesiti, quattro dei quali sul lavoro e uno sulla cittadinanza. Non si può giocare con temi così importanti, mettendo a rischio un mercato del lavoro che è in ripresa e ha raggiunto i massimi storici dopo decenni. Oggi tanti giovani, molti inoccupati e numerose donne stanno finalmente trovando una collocazione nel mondo delle imprese”, ha dichiarato il deputato salernitano. “Standing & Pools ha assegnato un valore positivo al nostro Paese. Tuttavia, i quattro quesiti sul lavoro sono anacronistici: ci farebbero tornare indietro, andando contro la flessibilità e la sicurezza sul lavoro. Dicono di voler favorire la sicurezza, ma in realtà la mettono in discussione. Il Governo Meloni, invece, ha agito concretamente su questo tema, destinando risorse e approvando una legge fondamentale: la sicurezza sul lavoro è diventata una questione culturale ed è stata inserita nell’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole”. Bicchielli ha poi lanciato un allarme sulle possibili conseguenze del referendum: “Votare questi quattro quesiti referendari ingesserebbe il mercato del lavoro, riportandoci ai tempi precedenti al Jobs Act. Non capisco il PD: prima ha voluto fortemente il Jobs Act, lo ha votato, e oggi lo osteggia. Questi atteggiamenti ambigui creano solo confusione”. Infine, il deputato ha affrontato il tema della cittadinanza: “Siamo favorevoli a concedere la cittadinanza italiana agli immigrati che vengono nel nostro Paese per lavorare, contribuendo alla crescita economica e culturale con la loro esperienza e professionalità. Crediamo che 10 anni siano un periodo di tempo adeguato: durante questo percorso, le persone possono valutare se desiderano diventare cittadini italiani”. “Ridurre il requisito a 5 anni ci sembra esagerato. Piuttosto, ciò che va migliorato è il processo burocratico: al termine del decennio, chi ha maturato i requisiti per ottenere la cittadinanza italiana non dovrebbe incontrare ostacoli e lungaggini, ma riceverla in modo rapido e senza inutili impedimenti amministrativi”, ha concluso Bicchielli. I quesiti del referendum. Il primo quesito del referendum riguarda l’abolizione del contratto di lavoro a tutele crescenti, introdotto con il Jobs Act, che di norma impedisce il reintegro del lavoratore licenziato illegittimamente. Attualmente, la legge stabilisce che i dipendenti a tempo indeterminato delle imprese con più di 15 lavoratori non possano essere reintegrati in caso di licenziamento illegittimo, se assunti dopo il 7 marzo 2015. Per chi è stato assunto prima di tale data, continua ad applicarsi l’ articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori nella sua versione originale, che consente al lavoratore di riottenere il posto se il giudice dichiara infondato o ingiusto il licenziamento. Diversamente, per chi rientra nel regime delle tutele crescenti, è previsto un indennizzo calcolato in base all’anzianità aziendale, con un minimo di 12 e un massimo di 36 mensilità di stipendio. Tuttavia, nel corso degli anni, il quadro normativo è cambiato. Le modifiche approvate dal Parlamento e le sentenze dei tribunali hanno progressivamente attenuato la rigidità iniziale della legge, con il risultato che, in alcuni casi, anche i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 possono ottenere il reintegro. Rimane, comunque, una distinzione tra i dipendenti tutelati dall’ articolo 18 e quelli soggetti alle tutele crescenti. Il secondo quesito referendario riguarda la cancellazione del limite all’indennità per i licenziamenti nelle piccole imprese, con l’obiettivo, secondo i promotori, di garantire maggiori tutele ai lavoratori. Attualmente, chi lavora in una piccola azienda e viene licenziato ingiustamente può ottenere un indennizzo fino a un massimo di sei mesi di stipendio. Il quesito propone l’eliminazione di questo tetto: se il Sì dovesse prevalere, chi perde il lavoro in un’impresa con meno di 16 dipendenti potrebbe ricevere un risarcimento più elevato rispetto a quello previsto dalla normativa attuale. La misura riguarda aziende con personale ridotto. Questa differenza di trattamento nasce dall’idea che, in tal modo, si possa proteggere le piccole aziende in difficoltà, evitando che siano costrette a chiudere a causa di oneri eccessivi derivanti da licenziamenti. Il terzo quesito referendario propone l’abrogazione delle norme che hanno semplificato il ricorso ai contratti a tempo determinato, attualmente consentiti per i primi 12 mesi senza necessità di motivazione. Secondo la legislazione vigente, le cosiddette causali diventano obbligatorie solo nel caso in cui il contratto superi la durata di un anno. Se vincesse il Sì, le imprese sarebbero tenute a indicare esplicitamente la ragione dell’assunzione a tempo determinato, anche per periodi molto brevi. Questo requisito era già previsto in passato, ma la normativa è stata modificata più volte nel tempo. Il quarto quesito referendario riguarda la sicurezza sul lavoro e propone l’abrogazione della norma che impedisce al lavoratore in subappalto, vittima di un incidente, di chiedere il risarcimento anche all’impresa committente. Attualmente, se un operaio edile assunto da una ditta in subappalto cade da un ponteggio e si infortuna, può richiedere il risarcimento solo alla sua azienda e non alla società titolare del cantiere che ha commissionato i lavori. Il quesito mira a eliminare questa limitazione, aumentando la responsabilità delle imprese che affidano la realizzazione di opere a terzi, una pratica comune nei grandi progetti. Il quesito propone quindi di estendere la cosiddetta responsabilità in solido, consentendo al lavoratore danneggiato di ottenere il risarcimento non solo dall’azienda per cui lavora, ma anche da quella che ha commissionato l’opera. Chi vota Sì sostiene che questa modifica aumenterebbe la responsabilità delle imprese nei subappalti, contribuendo a ridurre incidenti e morti sul lavoro. Chi vota No ritiene invece che la normativa attuale sia adeguata, poiché chi affida un’opera a uno specialista si aspetta che questo si assuma tutti i rischi, inclusi quelli legati alla sicurezza. L’ultimo quesito propone di dimezzare, da 10 a 5 anni, il periodo di residenza legale necessario per la richiesta della cittadinanza italiana da parte degli stranieri extracomunitari maggiorenni. L’obiettivo è consentire agli stranieri che risiedono stabilmente in Italia da alcuni anni di accedere più rapidamente alla cittadinanza. Il quesito propone quindi di modificare l’articolo 9 della legge 91/1992, che ha innalzato il requisito di soggiorno ininterrotto a 10 anni.