di Carmine Landi
BATTIPAGLIA. «Non potevo rimanere indifferente: dovevo fare qualcosa di più».
Due frasi che, sapientemente mescolate, contribuiscono a delineare un nitido ritratto di Antonella Napoli.
Giovedì sera, in compagnia dell’esperto Gabriele Bojano, la famosa giornalista è stata ospite del Salotto Culturale del Comune di Battipaglia: all’interno di Palazzo di Città, la donna, presidente di “Italians for Darfur Onlus”, ha presentato alla cittadinanza “Il Mio Nome è Meriam”, sua ultima fatica letteraria.
È la storia di Meriam Ibrahim Ishag, una giovane sudanese di religione cristiana arrestata da un tribunale di Karthoum dopo esser stata denunciata per apostasia da un parente che neppure conosceva. Incarcerata, incinta e con un figlio piccolo, all’ottavo mese di gravidanza è stata condannata a cento frustate con l’accusa di adulterio per aver sposato un cristiano e alla morte per impiccagione per aver rifiutato di abiurare. In catene, Meriam ha dato alla luce sua figlia. Una storia che ha segnato profondamente Antonella, che in Sudan c’è stata per raccogliere le testimonianze delle donne violentate, perché lì lo stupro viene utilizzato come una vera e propria arma da guerra. E chi pensa che gli operatori dell’informazione siano soltanto sciacalli, non ha conosciuto la scrittrice: basterebbe osservarla alla fine della presentazione, mentre penetra profondamente col suo sguardo negli occhi delle persone che ha dinanzi. Su quei libri, con la sua penna, non lascia una sterile sigla, ma scrive una lunga dedica a ogni lettore.
«Occorre guardarsi dentro», spiega la donna ai nostri taccuini, che prosegue dicendo che «un giornalista deve riuscire a cogliere quegli aspetti che altri ignorano volutamente o perché c’è chi vuol farci guardare altro».
E chi cela secondi fini: «Non c’è interesse a fermare il conflitto, con due blocchi internazionali che hanno interessi enormi in Sudan, ed è per questo che occorre parlarne: c’è bisogno di sostegno, ora più che mai».