Questa sera, alle ore 21, il sipario del teatro Verdi si leverà sulla rilettura del romanzo di Ken Kesey che dette spunto al fortunato film di Milos Forman
Di OLGA CHIEFFI
Continua la stagione di prosa del teatro Verdi. Da questa sera, alle ore 21, sino a domenica, in pomeridiana, il sipario del massimo cittadino si leverà sulla rilettura della pièce “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Dale Wasserman, nella traduzione di Giovanni Lombardo Radice, l’adattamento di Maurizio de Giovanni per la regia di Alessandro Gassmann. La trama, conosciutissima, a teatro fu data da Dale Wassermann nel 1971, poi la fortunata versione cinematografica con protagonista l’eccellente Jack Nicholson. Questa volta la storia viene trasportata sullo sfondo di una scenografia completamente differente, distante migliaia di chilometri da quella originale: siamo all’Ospedale psichiatrico di Aversa nel 1982, quando la nazionale italiana vinse i mondiali. Randle McMurphy diventa Dario Danise, irriducibilmente napoletano, e l’infermiera Ratched si trasforma in Suor Lucia. Il protagonista Dario Danise interpretato da Daniele Russo è affetto da disturbo istrionico della personalità, attacchi di collera e sessualità compulsiva. È facile immaginare che lo scontro tra lui e la severa religiosa sarà inevitabile e che l’internato dovrà ritrovarsi a tener testa alle provocazioni e alle prese di posizione di entrambi. Gassman, regista ed ambasciatore per l’UNHCR, si concentra sul grande tema vero protagonista dello spettacolo: la libertà. Danise è un cane sciolto, nato nei bassifondi e più volte incarcerato, sovverte di continuo le leggi create dalla severa Suor Lucia, cui dà voce Elisabetta Valgoi, madrina di un ordine perfetto e inattaccabile, in un disperato anelito di indipendenza. Denise si avvicina particolarmente a Ramon Machado interpretato da Gilberto Gliozzi, un uomo dal fisico di un gigante ma dal cuore di un bambino che si finge per anni sordomuto e che non è mai riuscito a superare il rapporto di amore e odio con sua madre e la sua terra natia, soprattutto dopo essere arrivato nel nostro Paese e aver vissuto la miseria, la fame e lo sfruttamento. Fulvio (Daniele Marino), uno dei pazienti balbuziente e convinto di essere una nullità vittima del timore reverenziale nei confronti di sua madre e del suo giudizio, una volta scoperto in atteggiamenti intimi con una prostituta con la quale perde la verginità e aver subito la minaccia da parte di suor Lucia della rivelazione del suo comportamento alla sua tutrice, per vergogna si suicida. Questo darà il lasciapassare alla suora laica per far subire a Denise un intervento chirurgico di lobectomia. Alla fine, il dramma, la tragedia. Nelle case di cura o manicomi o opg si attuava una pratica terribile, la lobotomia: era un intervento conosciuto anche come leucotomia. Il risultato era il cambiamento radicale della personalità. Il protagonista lo riceve e, quindi, è restituito alla scena senza anima, come vegetale. I compagni di sventura, solidarizzando con Dario Danise e capendo che si tratta di uno stato, purtroppo, irreversibile, lo sopprimono per pietà. Dalla morte, dal taglio, la scintilla di rinascita: Ramon manda in frantumi i vetri che lo rinchiudono e riconquista la sua libertà, la sua vita.