Asl, i furbetti della corsia - Le Cronache Ultimora
Ultimora Salerno

Asl, i furbetti della corsia

Asl, i furbetti della corsia

Peppe Rinaldi

 

Neppure l’emergenza scatenata dal virus della polmonite cinese nel 2019, il famigerato Covid, pare abbia messo in ordine le cose: emergenza «manodopera» c’era prima, emergenza manodopera c’è ora. Parliamo delle corsie degli ospedali o dei centri di cura sanitari presenti sul territorio.

“Carenza d’organico” – lo sappiamo tutti –  è il lamento standard che si inerpica su per le vette dell’eternamente malmostoso stato d’animo del paziente-tipo che si ritrova al cospetto del sistema sanitario, nonostante tutto uno dei migliori al mondo. La storia è nota. Certo, se a svolgere l’assistenza sanitaria, per la quale il cittadino paga tasse stratosferiche – se e quando le paga – ci andassero per davvero tutti quelli che proprio per questo vengono pagati, quel lamento forse non sparirebbe ma almeno se ne ridurrebbero intensità e frequenza. Invece no, c’è sempre un popolo di «imboscati» a complicare le cose, una sorta di struttura parallela a diversi settori del pubblico impiego italiano, specie in alcune aree del Paese che sarebbe meglio ora non citare per evitare il rischio di scivolare a parlar d’altro (Meridione, discriminazione, etc.). Questo «popolo» in provincia di Salerno conta circa 400 unità tra infermieri e operatori sanitari che se ne stanno al fresco, in questo periodo, o al caldo nel periodo opposto, di un ufficio amministrativo: spostano carte, chiudono e aprono faldoni, fanno fotocopie, smistano la corrispondenza, rispondono al telefono (quando rispondono), accompagnano il dottor tal dei tali qua e la dottoressa tal dei tali là, invece di infilare cateteri, misurare la salute, affiancare e coadiuvare medici e chirurghi, tenere sotto controllo il disperato di turno nel letto e così via. I dati dei quali questo giornale è venuto in possesso sono ufficiali, nel senso che provengono da fonti di settore specializzato e, oltretutto, sono anche noti all’Asl di Salerno e perfino alla Corte dei Conti, entrambi informati non da oggi dell’incresciosa quanto illegittima e probabilmente illegale situazione. Anche perché questi signori, o alcuni tra essi ancor più fortunati, percepiscono l’ indennità infermieristica, oltre allo stipendio, pur standosene in chissà quale ufficio a consumare chissà quale scrivania con gomiti ormai disabituati al lavoro vero per il quale sono stati assunti. In pratica, succhiano danaro che non dovrebbero succhiare: è chiaro che tutto ciò si rende possibile perché l’apparato amministrativo, la struttura gerarchica e gli stessi organi di controllo lo consentono, non è che questi signori si svegliano una mattina e decidono di imboscarsi autonomamente. Se lo fanno è perché qualcuno (amministrazione, politica, sindacato, la stessa magistratura) consente loro di farlo.

 

I numeri

 

Ma come stanno veramente le cose nelle corsie d’ospedale del Salernitano, ambito caratterizzato da qualità ed eccellenza a seconda di specifiche collocazioni geografiche e «storico-politiche»?

Vediamo: nell’Asl di Salerno risultano circa 217 infermieri impiegati in mansioni amministrative, cioè al di fuori dell’assistenza diretta ai pazienti. In un conteggio più ampio si stimano circa 242 infermieri insieme a 66 operatori soci sanitari (Ota/Oss) e una dozzina di altre figure infermieristiche generiche o puericultrici destinate a funzioni diverse da quella assistenziale.

Sommando a questi primi due dati anche altre dodici figure infermieristiche non in corsia abbiamo un totale di circa 370 unità di personale sanitario assegnate a mansioni amministrative o di segreteria invece che all’assistenza dei pazienti. Trecentosettanta posizioni all’Asl di Salerno tra infermieri e operatori socio-sanitari sottratti dall’assistenza, quindi tutto personale che non sta nei reparti in cui dovrebbe stare, anche in quelli che già presentano gravi e croniche carenze di organico e il tutto, spesso, con costi aggiuntivi per indennità non dovute, circa 300 euro mensili in più in busta paga. Non tutti e 370 ne godono ma a divorare altro danaro non dovuto sono comunque in tanti, con una previsione di sperpero di circa 250mila euro all’anno: in soli quattro anni sono già il primo milione di euro, gli antichi due miliardi di lire italiane, che in poco tempo lievitano riempendo la grande pentola dell’allegria gestionale che tanto lustro ha sin qui dato alla sanità campana (e non solo). Facendo due calcoli spannometrici, si intuisce con agilità che il danaro bruciato illegalmente è tanto, decisamente troppo: solo che nessuno interviene a stangare l’odioso fenomeno, anche perché  – e questo va detto con sconfortata chiarezza – il lavoratore pubblico gode di una sorta di impunità a vita garantita dalla perversione di una legislazione che ne tutela la posizione oltre ogni ragionevole limite; il lavoratore privato dopo due ore «da portoghese» se ne va a casa, giustamente. E’ così da molti anni, nessuno ci mette veramente mano e, se e quando lo fa, per lui si spalancano le porte dell’inferno. Da quanto risulta a chi scrive esistono richieste formali inviate sia alla Asl che alla Corte dei Conti affinché gli infermieri vengano riassegnati ai ruoli sanitari e, al personale cosiddetto «non idoneo», vengano affidate funzioni coerenti con il proprio profilo professionale: che poi, «non idoneo» è categoria burocratica tutta da discutere tenuto conto dell’andazzo della pubblica amministrazione, si vedano i mille casi-scuola diffusi in mezza Italia di vigili urbani «allergici allo smog», «con l’ernia», «depressi», «agorafobici» e ciance varie, i quali invece che stare in strada svaniscono nei meandri di qualche ente locale messo peggio delle organizzazioni sindacali che dovrebbero tutelare sì i lavoratori ma pure la dignità del lavoro e di chi svolge con onore il proprio mestiere, la maggior parte del personale. Tra queste figure è emersa anche una discrepanza tra il possesso dei requisiti normativi per i coordinamenti e i master effettivi con nomine prive del requisito universitario obbligatorio ai sensi della legge (la 43/2006).

Si tratta delle cosiddette «criticità» del settore, peraltro denunciate anche da alcuni sindacati nel corso del tempo, organizzazioni di lavoratori che hanno richiesto alle autorità di gestione della sanità interventi per ricollocare correttamente il personale in maniera conforme a formazione e ruolo previsti: ma, si sa, le denunce sindacali a volte sono come una fisarmonica, mentre si piega da un verso si espande dall’altro. E tutta la giostra ricomincia come prima.