di Antonio Manzo
Gli squadristi delle manette non avrebbero mai immaginato di dover essere tacitati, nel giro di poco più di un’ora ieri giovedì mattina, dell’avvenuto arresto del presidente della Provincia e sindaco di Capaccio Franco Alfieri. E così, dalle prime voci incontrollate della mattinata, si è passati subito alla comunicazione ufficiale della procura della Repubblica. Stavolta l’entusiasmo irrefrenabile degli squadristi delle manette veniva spento da tre modeste, ma efficaci righe del comunicato ufficiale del procuratore della Repubblica Giuseppe Borrelli. Tre righe appena, dopo tre dense cartelle di un comunicato stampa. Il richiamo di Borrelli “Si evidenzia che il richiamato provvedimento cautelare è stato emesso sulla base degli elementi probatori acquisiti in fase di indagini preliminari, pertanto in attesa di giudizio definitivo, sussiste la presunzione di innocenza.” Ma come il capo della Procura Borrelli che arresta Alfieri proclama la presunzione d’innocenza? E’ proprio così perché nell’Italia del circo mediatico giudiziario è oltremodo pedagogico se non irrituale comunicare anche il principio costituzionale del garantismo che è tuttora drammaticamente minoritario. Bene, hanno potuto “esultare” (se così si può dire) per qualche ora gli squadristi delle manette sapendo che Franco Alfieri è stato introdotto nel carcere di Fuorni con una ordinanza di custodia cautelare è soggetta a tre gradi di giudizio. Servirà un processo per stabilire se Alfieri sarà condannato come soggetto capace, attraverso la sua carica istituzionale, di spaziare su un campo davvero largo degli appalti pubblici nel Salernitano con atti ritenuti illegittimi in un arco temporale davvero ampio: da quelli recenti della illuminazione pubblica, a quello “storico” della costruzione della Fondovalle Sele attesa da decenni. Il derby politico delle inchieste Ma, nonostante il richiamo di Borrelli, la politica non ha evitato di misurarsi ancora una volta nel “derby politico” delle indagini politico-giudiziario: da una parte il centro-destra con Alberico Gambino massacrato e poi prosciolto e Pasquale Aliberti di cui si attende la sentenza di primo grado; dall’altra il centro-sinistra con l’ex sindaco di Eboli Massimo Cariello arrestato a 24 ore dopo l’eclatante risultato elettorale con un processo tutt’ora in corso e del presidente della Provincia Franco Alfieri Pd appena arrestato. Per non parlare dell’arresto dell’ex presidente della Provincia Angelo Villani con giudizio da svolgere ancora in corte d’appello per bancarotta. Il “derby politico” giocato senza cautela della cosiddetta classe dirigente sarebbe stato vinto dal centro-sinistra per tre a due, con tutto il contorno dei commenti dopo il “novantesimo”, incuranti della miseria morale di quanti attendono il nemico in carcere, nella cella dove precipita la crisi della giustizia che coinvolge ingiustamente quanti sono estranei alle accuse come figli, familiari, conoscenti diretti. Per chi non comprende che il processo penale è sempre un trauma per chi lo subisce, è inutile ricordare che non si tratta di scrivere un escamotage vagamente assolutorio ma profondamente umano. Il circo mediatico per l’imputato Alfieri è già partito e ricorrere agli effetti scenografici evocando fritture o comparaggi politici emettendo sentenze pubbliche anche per gli estranei alle inchieste. Bene ha fatto il presidente sella Regione De Luca a non commentare nella diretta a tv del venerdì l’arresto di Alfieri, onde evitare di rinfocolare la smodata passione degli squadristi delle manette. La questione morale non moralistica Tornano alla mente i giorni di Mani Pulite prima e Tangentopoli che introducono nella sfera pubblica il tema della “questione morale” per anni declassificato negli anni politici “da bere” come vittimismo politico dell’inascoltato Enrico Berlinguer. L’intenzione a valutare il carattere morale della condotta dei politici unì le persone, e questo fu uno degli effetti di un vero scandalo quando aspetto morale e aspetto legale furono ritenuti coincidenti, più o meno sovrapposti e limitati all’attenzione di un titolo giornalistico. I partiti taxi dei dipendenti “politici” Inutile nascondersi: la politica in Campania come a Salerno, si ritrova di nuovo in una forte in crisi di credibilità. Basta guardare le cosiddette “classi dirigenti” elette nei comuni al grido di “cambiamo tutto” per non cambiare nulla. I partiti laddove esistono sono solo sigle di taxi del “non cambiamo nulla” con la prosecuzione di clientele, favoritismi, diritti dei cittadini mutati in “favori” costanti se non addirittura remunerati a chi è chiamato a decidere. Al di là delle inefficienze amministrative e da un “civismo” oltremodo campanilistico in quasi tutti i comuni del Salernitano sarebbe necessaria un’operazione trasparenza per avvicinare i cittadini alla cosa pubblica. Rendendo così il controllo non limitato all’intervento delle Procure con la partecipazione attiva del cittadino-arbitro e giudice ultimo dell’azione politica.