In questo tempo di pandemia abbiamo sognato per prima cosa una ridefinizione delle politiche culturali che tenga presenti tutti i settori dello spettacolo e soprattutto i piccoli, gli indipendenti, le maestranze. Servono nuove leggi e un supporto diverso da parte dello Stato, senza algoritmi per il calcolo dei contributi e con un sostegno diretto
“Quando la peste venne dall’Oriente sulle navi di mercanti e soldati, si diceva che fosse il castigo di Dio per il male che colmava la terra. Nessun medico sapeva guarirla, ma le donne conoscevano il modo per evitare il contagio e somministravano la Teriaca, preparata secondo l’antica formula…”. Stavamo in prova proprio con questa scena dello spettacolo Herbarie. Le chiamavano streghe, una storia che offre una cura all’epidemia, quando è squillato il telefono. Era Ana, la responsabile di Lyra Teatro di Milano che ci comunicava che la replica prevista nel loro teatro era stata annullata a causa dell’ordinanza che aveva chiuso tutti i teatri in Lombardia. Per epidemia. Era il 2 marzo e sembrava un’ironica coincidenza che ci stava privando di una tournée attesa, che ci avrebbe portati fuori dai nostri confini (e che speriamo, prima o poi, di poter riprendere) e invece, subito dopo, non solo i Teatri, ma anche tutte le attività di spettacolo sarebbero state sospese. Ovunque. La nostra storia inizia a Roma nei primi anni 70. Sperimentazioni e avanguardia, ma soprattutto, presenza sui territori, rapporto diretto con le persone, ricerca non solo di testi, ma anche di linguaggi, di gesti, di strumenti narrativi e di motivazioni ed assonanze politiche. Sempre indipendenti, sempre un po’ (troppo?) fuori dai circuiti ufficiali, abbiamo popolato le piazze con gli spettacoli di teatro in strada; abbiamo gestito un teatro fin quando non siamo stati sfrattati; abbiamo ricominciato più volte; abbiamo organizzato laboratori, prodotto progetti multimediali dedicati alle antiche tradizioni rituali; realizzato centri diurni, attività per migranti e persone con dipendenze, abbiamo ripreso il teatro di ricerca con il progetto su Le Città Invisibili di Italo Calvino che ha messo al centro del palcoscenico la parola letteraria; abbiamo lavorato con i Municipi, realizzato rassegne per l’Estate Romana, scritto a centinaia di festival, concorso a bandi, call, concorsi. Come tanti altri, come tutti quelli che sono come noi. Ora, come tanti altri, come tutti quelli che sono come noi, siamo fermi, sospesi, incerti del futuro. Ma il futuro sta arrivando rapidamente. Abbiamo nuovi occhi per guardarlo? Ad oggi non sappiamo cosa accadrà: ragioniamo sul breve termine, miglioriamo quello che già sappiamo fare, impariamo a raccontare il nuovo mondo e il nuovo tempo. Lavoriamo per immaginare il futuro. In questo tempo di pandemia abbiamo sognato per prima cosa una ridefinizione delle politiche culturali che tenga presenti tutti i settori dello spettacolo e soprattutto i piccoli, gli indipendenti, le maestranze. Servono nuove leggi e un supporto diverso da parte dello Stato, senza algoritmi per il calcolo dei contributi e con un sostegno diretto alle compagnie, agli operatori e anche ai Comuni. E, soprattutto un nuovo rispetto per la cultura e per il lavoro culturale. E poi un lavoro che non sia in competizione, ma in collaborazione, che metta in campo saperi e problemi e che offra risposte alle mancanze che la distanza ha provocato; nuove narrazioni che raccontino storie, oggetti, azioni, ricordi; progettualità che abbiano alla base idee poetiche e politiche chiare. Si tratta di sperimentare, provare, trovare soluzioni e metterle in pratica anche se forse non funzioneranno, perché solo andando in una direzione potremo avere qualcosa da cambiare, se necessario. Immaginiamo piccoli atti di teatro in strada, nei parchi e nelle piazze, progettati per comunicare con il pubblico (mantenendo le distanze di sicurezza); festival che propongano condivisioni capaci di mantenere vitale lo spettacolo dal vivo, perché siamo certi che il potere della mentalità dello spettatore continuerà nonostante tutto. Non è più tempo di restare in difesa. È tempo di esplorare questo nuovo luogo in cui ci troviamo. Per ritrovare la complessità e la connessione fra tutte le cose. Noi esseri umani per primi. È tempo di collaborare, sognare, reimmaginare e impegnarsi.
Isabella Moroni per Argilla Teatri