E’ in libreria “In viaggio con Apollinaire”, con disegni di Massimo Dagnino per le Edizioni L’Arca Felice
di Marina Pellegrino
Siri Nergaard nell’introduzione al volume miscellaneo “Teorie contemporanee della traduzione”, uscito per Bompiani in ristampa nel 2014, sostiene che sia opinione di molti considerare la traduzione alla stregua di una riproduzione identica dell’originale. Leggendo le traduzioni di Mario Fresa confluite nel suo recente libro “In viaggio con Apollinaire” (con disegni di Massimo Dagnino, edizioni d’arte L’Arca Felice), ci viene in mente per contrasto il passo appena citato e, in contemporanea, un’operetta un po’ più antica: il “De interpretazione recta” di Leonardo Bruni. A distanza di oltre cinquecento anni (l’opera bruniana è databile tra il 1420 e il decennio successivo), il problema-traduzione come fedeltà e interpretazione permane e, in alcuni casi, con i medesimi termini. I testi di Mario Fresa, dunque, prima ancora che essere letti come semplici traduzioni debbono essere considerati secondo il loro valore letterario, individuando il “senso” che l’autore ne vuole dare. Sarei molto cauto nel definire “tra-ductio” quanto Mario Fresa ci offre, ma mi riferirei ai suoi testi nel termine di imitazioni, come riappropriazione di Apollinaire, perché non possiamo sottovalutarne la correlazione con altri testi e il ripensamento in un contesto altro (Bachtin). I versi vanno oltre, dunque, il “trans-ducere”, ma vivono di una luce propria, potremmo dire cogliendo l’anima del loro archetipo. Questo è il valore che Mario Fresa ci permette di cogliere, a mio avviso. Data la premessa, un’operazione di riappropriazione dell’anima del testo è seguita da una immedesimazione nel testo stesso, che solo un poeta può fare, che va al di là dello stile e del testo del modello e, in maniera piuttosto evidente, attraversa (almeno ad una prima evidenza stilistica) un procedimento di amplificazione o di riduzione, a seconda della scelta che si compie. Come esempio di questo caso considero il testo “La Souris” e, nello specifico, il primo verso: «Belles journées, souris du temps,», in cui quel “Belle giornate” si amplifica in Fresa sino ad un intero verso («O belle, mie belle, terribili, belle giornate!»), in cui quel termine “terribili” realizza l’ossimoro stesso della situazione poetica, se confrontato con la conclusione del brano poetico: «Vous rongez peu à peu ma vie. / Dieu! Je vais avoir vingt-huit ans, / Et mal vécus, à mon envie.» Accennando al processo di riduzione e amplificazione del testo, un atteggiamento opposto a quanto notato lo ritroviamo nel verso successivo, che condensa in una sola porzione il secondo emistichio del primo verso e il secondo verso di Apollinaire: «Topini del tempo che la mia vita divorate!». L’operazione di traduzione-imitazione di Mario Fresa, dunque, è paragonabile al movimento della fisarmonica, in un movimento continuo. Il nucleo della lettura non può essere, a nostro avviso, cogliere le parole di Apollinaire, ma le parole di Mario Fresa che poeticamente leggono Apollinaire. Un percorso intelligente che valica i limiti della filologia scolastica, sino a variare strutture chiave di partenza. I vent’otto anni a breve da compiere sono divenuti trenta nel testo di arrivo, ad esempio; gli stessi anni mal vissuti si tramutano in una eco proustiana, il soggettivismo di chiusura, rafforzativo in Apollinaire (à mon envie) scompare per lasciare spazio ad una interiezione, a sua volta rafforzativa di una precedente. Una delle costanti, inoltre, è il “pathos” delle iterazioni, cioè un uso sapiente di ripetizioni (alcune volte anaforiche) che danno un ritmo al testo, ne veicolano in certo modo la fluidità. Ecco l’impresa del poeta: «Trent’anni, miodio, trent’anni li compirò tra un mese! / Che tempo perduto! Che ore malissimo spese!». Il procedimento di personalizzare il testo di partenza è comune in ogni componimento che viene presentato, in cui le scansioni ritmiche e sintattiche vengono ora enfatizzate e portate al limite estremo dell’espressività ora asciugate, sino alla soppressione. Uno stile esemplare dal punto di vista poetico, perché così facendo il risultato finale è un testo vitale, talmente immedesimato che vive di una nuova linfa, diviene contemporaneo e si tramuta in opera letteraria a sé stante, in poesia che vive di luce propria.