Nato a Rocca San Felice, nel cuore pulsante dell’Irpinia, Antonio Guerriero incarna la nuova generazione di cuochi che scelgono di restare e costruire futuro nella propria terra. Classe 1995, ha fatto della passione per la cucina non solo una professione, ma una forma di espressione identitaria, capace di restituire dignità e creatività a una tradizione troppo spesso relegata al passato. La sua formazione tecnica prende forma all’IISS Vanvitelli di Lioni, ma è fuori dalle aule che avviene la vera crescita: Antonio ha lavorato in cucine di ogni tipo, dalle strutture ricettive agli eventi, attraversando esperienze diversificate che gli hanno donato versatilità, pragmatismo e una visione concreta del mestiere. A distinguerlo è la coerenza con cui ha scelto di restare nel proprio territorio, non per mancanza di alternative, ma per volontà di contribuire alla sua valorizzazione. L’Irpinia per lui non è solo luogo di origine, ma risorsa viva,un sistema agricolo autentico, una rete umana ancora da costruire tra chi produce e chi cucina. Negli anni ha saputo far emergere il suo talento anche in contesti strutturati, fino a conquistare visibilità nazionale attraverso il format televisivo “4 Ristoranti”. Ma Antonio restaun cuoco artigiano, schietto, appassionato. Oggi, tra nuove responsabilità e progetti futuri, porta avanti una visione di cucina che è gesto, ascolto e appartenenza. Con uno stile che unisce l’essenzialità irpina alla generosità mediterranea, continua a raccontare la sua terra… un piatto alla volta.
Antonio, hai iniziato a cucinare giovanissimo. Quali sono i primi ricordi legati ai fornelli con tua madre e tua nonna?
I primi ricordi che ho dei fornelli da piccolo risalgono a quando stavo con mia nonna che metteva a cuocere i legumi nella pignata vicino al fuoco, o quando cuocevamo le patate sotto la cenere per poi aprirle e condirle. Mi incuriosiva il fatto che usasse come metodo di cottura solo il fuoco di una vecchia stufa/cucina economica, dove le preparazioni avvenivano in maniera lenta.
Con mia madre invece facevamo spesso la pasta fatta a mano e mi ha sempre fatto cucinare con lei tutti i piatti della cucina napoletana, anche quelli più particolari e antichi come il soffritto (zuffritto di maiale) fatto con le interiora.
Hai lavorato in contesti molto diversi, dagli agriturismi agli eventi street food. Quali esperienze ti hanno formato di più e perché?
Ogni contesto dove ho lavorato mi ha insegnato e mi ha lasciato qualcosa. Negli eventi di street food c’era molto il contatto con il cliente e ciò mi ha fatto crescere a livello sociale; quando ho lavorato nei supermercati ho acquisito una velocità nei tempi di preparazione dei piatti, perché c’era la vendita diretta al consumatore; negli agriturismi e nei ristoranti invece sono riuscito a coniugare tutte le esperienze fatte ed impiegarle in un contesto più settoriale.
La tua cucina unisce due identità forti: quella irpina e quella napoletana. Come riesci a farle dialogare in un piatto?
I miei piatti sposano tradizioni irpine e napoletane, nel senso che utilizzo prodotti facilmente reperibili in Irpinia direttamente dal produttore nelle ricette napoletane e viceversa.
A Palazzo Vittoli hai avuto un’esperienza importante, culminata anche con la partecipazione a ‘4 Ristoranti’. Cosa ti ha lasciato quell’avventura?
L’esperienza lavorativa a Palazzo Vittoli è stata fantastica, anche perché mi ha dato la possibilità di portare la mia idea di cucina e di gestire a 360 gradi un’attività. 4 Ristoranti di Alessandro Borghese invece è stato un trampolino di lancio per farmi conoscere al di fuori della realtà quotidiana, entrando nelle case della gente attraverso la TV.
Oggi sei responsabile della cucina in una RSA. Come cambia l’approccio in un contesto così particolare?
Oggi che ricopro la qualifica di responsabile presso l’RSA Villa Gioconda vedo la cucina non come ristorazione classica, ma adeguata ad esigenze e problematiche personali di ogni paziente della struttura. Mi confronto quotidianamente con personale sanitario, nutrizionisti e ASL, producendo diete personalizzate anche in base alle diverse patologie.
Ti definisci un “fabbro della cucina”. Cosa intendi con questa espressione?
Fabbro della cucina, perché io mi diverto semplicemente a creare piatti con gli ingredienti che ho a disposizione e devo avere le mani sempre in pasta. Non amo l’etichetta da Chef.
Hai scelto consapevolmente di restare in Irpinia: cosa offre questa terra a chi fa ristorazione con passione?
Per me l’Irpinia è una terra stupenda, ricca di ogni materia prima possibile, dove l’autenticità regna sovrana. Penso che fare ristorazione in questa terra non sia complicato, perché puoi benissimo andare dal produttore e comprare ingredienti a km 0, anzi, metro 0. Si può creare – e si dovrebbe creare – una rete culinaria tra produttori e ristoratori, così da non dover acquistare niente al di fuori dell’Irpinia.
Guardando al futuro, hai un sogno nel cassetto che vorresti realizzare nella tua terra?
Come ogni giovane cuoco anche io ho il sogno, un giorno, di aprire una mia attività e di fare conoscere la mia cucina e la mia Irpinia!
Agnello di Carmasciano, patata di Volturara e cipolla ramata di Montoro
Un omaggio autentico alla Pasqua e alle tavole contadine dell’Irpinia, “Aino co’ le patane” è più di un piatto,è una memoria collettiva che si rinnova, un gesto d’amore che lo chef Antonio Guerriero ha voluto portare anche nel suo ristorante, restituendo dignità e centralità alla cucina tradizionale locale.
Ingredienti per 4 persone:
1 kg di agnello da latte del Carmasciano
4 patate gialle di Volturara Irpina
1 cipolla ramata di Montoro
2 rametti di rosmarino fresco
2 foglie di alloro
1 cucchiaio di origano secco
1 bicchiere di vino bianco irpino
Olio extravergine d’oliva irpino q.b.
Sale e pepe nero q.b.
Preparazione:
Taglia l’agnello in pezzi regolari, sistemalo in una ciotola capiente e aggiungi il vino bianco, le foglie di alloro, l’origano, il rosmarino, sale e pepe. Copri e lascia marinare in frigorifero per almeno 8 ore, meglio se per tutta la notte. Pela le patate di Volturara e tagliale a spicchi. Affetta finemente la cipolla ramata. Condisci tutto con olio, sale, un pizzico di origano e rosmarino.
In una teglia da forno capiente, sistema l’agnello ben scolato dalla marinatura (ma conservandone il liquido) e circondalo con le patate e le cipolle. Versa sopra il liquido della marinatura filtrato e irrora con un filo d’olio evo. Copri con carta forno e poi con alluminio e inforna a 160°C per circa 2 ore. Negli ultimi 30 minuti, scopri la teglia per far dorare carne e patate. Servi il piatto caldo, accompagnato magari da una fetta di pane casereccio cotto a legna. Il profumo delle erbe, la tenerezza dell’agnello e la dolcezza
Raffaella D’Andrea





