Il pianista ospite del festival pianistico Piano Solo ha stregato il pubblico del Salone dei Marmi, spaziando da Brahms a Berg
Di OLGA CHIEFFI
Pubblico stregato per il gran finale di Piano Solo, dal pianista Antonio Di Cristofano, appena sbarcato sul suolo italiano dalla Spagna e catapultato sulla panchetta del gran coda Yamaha, per eseguire l’intenso programma proposto al pubblico del festival, ospite oramai da dieci anni nel Salone dei Marmi di palazzo di Città. La rassegna promossa da Paolo Francese e Sara Cianciullo ci ha rivelato un Di Cristofano in grande spolvero a partire dalle quattro ballate op.10 di Johannes Brahms. Antonio Di Cristofano ha offerto un’interpretazione delle ballate di elegante e differenziata individuazione poetica. La musica di Brahms ha assunto, attraverso la tastiera di Di Cristofano, un’incisività, una purezza di segno e un’ineluttabilità di passo rare; il nucleo emozionale e interiore dell’espressione è stato via via colto con una precisione e una qualità di sintesi di raro ascolto. Il solista si è cimentato, poi, con lo Chopin della Polacca-Fantasia in La Bemolle op.61. Suono bello, interiore eleganza, nessuna ombra di affettazione, ma una pagina che è diventata una vicenda che ci ha coinvolto, che ci conduce verso mete precise, che richiede all’interprete una dose non usuale di certezza, rischiarando i percorsi, strutturando l’insieme, mostrandone tutti i possibili messaggi. Un omaggio a Franz Liszt con l’esecuzione de’ “La Vallée D’Obermann”, dal Première Année de pèlegrinage, in cui sono stati sgranati con forza i passi più complessi della visionarietà lisztiana con una lettura lucida e pulita, giustamente non sperperata all’insegna di un’estrosità geniale, in una balance perfettamente controllata. L’evento della serata e forse dell’intera rassegna è stata l’esecuzione della Sonata di Alban Berg, che il pubblico salernitano, a lume di naso, non ha mai ascoltato dal vivo. Antonio Di Cristofano ha reso perfettamente le undici pagine di questa opera prima. Sotto il velo sottile, tremante, della forma precostituita, il pianista ha lasciato intravvedere tutta la sua violenza dinamica, con tutti i suoi correlati tecnici, senza mai essere trascinato nel “caos” acustico, da maestro del minimo passaggio. Finale affidato alla Sonata-Fantasia op.19 di Aleksandr Skrjabin, resa con grande finezza interpretativa e spiccata personalità, attraverso cui ha messo in luce sonorità differenziate grazie ad una ricca tavolozza di sfumature timbriche di grande fascino che si sono conformate via via al mutevole trascorrere e trascolorare espressivo, sino al misticismo e alla visione skrjabiniana. Applausi scroscianti ed un bis nel sentire di tutta la platea quel notturno op.9 n°2 di Fryderyk Chopin caratterizzato da un lirismo schizzato dalla naturalezza di respiro dei fraseggi, dall’intensità emotiva del suono.