Antonio Biafora: la Sila nel piatto - Le Cronache Attualità
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Antonio Biafora: la Sila nel piatto

Antonio Biafora: la Sila nel piatto

Radici profonde nella Sila, cuore pulsante della Calabria, e uno sguardo sempre aperto sul mondo. Antonio Biafora è uno chef che porta avanti un’idea di cucina profondamente legata alla sua terra, unendo l’istinto ancestrale della montagna con la tecnica e la visione internazionale maturate nei suoi viaggi. Il suo percorso inizia tra i tavoli del ristorante di famiglia, il Biafora Restaurant, dove cresce respirando l’ospitalità e la cultura gastronomica locale. Dopo una laurea in Scienze Turistiche, il richiamo dei fornelli prende il sopravvento, nel 2009 indossa la giacca da cuoco e sceglie di partire dal basso, formandosi con esperienze in ristoranti prestigiosi e istituti di alta cucina come Alma, dove si diploma nel 2011. Lavora fianco a fianco con chef del calibro di Francesco Bracali e Frank Rizzuti, maestro quest’ultimo nel trasmettergli il valore dell’identità culinaria.  Nel 2015 vince il premio della giuria Ferrarelle e ItaliaSquisita con il piatto “Agnello e Peperoni”, e il suo ristorante entra nelle più importanti guide gastronomiche, fino a conquistare, nel 2019, un posto nella Guida Michelin. Un traguardo che si fa ancora più grande nel 2021, quando riceve la stella Michelin per Hyle, il suo ristorante di appena quattro tavoli, dove la montagna calabrese si esprime in piatti intensi, moderni e radicati nella tradizione.

Biafora non è solo uno chef, ma un ambasciatore della Sila, che porta il suo territorio su palcoscenici internazionali: da Identità Golose, dove è stato relatore nel 2017 e premiato come chef sorpresa dell’anno nel 2020,nell’ edizione 2025 appena trascorso ha sorpreso la platea con formaggio di pasta, fino a esperienze in Giappone, dove scopre la cucina di Michel Bras a Toya. Ogni viaggio è una fonte di ispirazione, ma il ritorno a casa è sempre il punto di partenza un continuo dialogo tra il mondo e la Sila, tra ricerca e memoria, tra tecnica e natura.

Hyle è la sintesi perfetta di questo viaggio, un luogo intimo, in cui il territorio diventa esperienza gastronomica, in cui la Calabria di montagna si racconta attraverso il gusto. Antonio Biafora non si accontenta di cucinare la Sila, la vuole far conoscere al mondo, un piatto alla volta.

«Non esattamente. Il mio percorso inizia in sala, nel ristorante di famiglia, dove ho respirato l’ospitalità e il senso di appartenenza alla Sila. La nostra è una tradizione che parte da mio nonno, che nel dopoguerra aprì una piccola trattoria per gli operai impegnati nella riforestazione. Da lì, il locale è cresciuto passando di generazione in generazione fino ad arrivare a me e a mio fratell»;

Inizialmente hai scelto un’altra strada?

Sì, ho studiato Scienze Turistiche con l’idea di dirigere un albergo. Lavoravo già nel ristorante di famiglia, ma sempre in sala. A 26 anni, però, ho capito che per portare il locale a un livello superiore dovevo conoscere a fondo la cucina;

È in quel momento che decidi di studiare seriamente gastronomia?

Esatto, mi iscrivo all’ Alma, e da lì cambia tutto. Non volevo solo imparare a cucinare, ma dare un’identità precisa alla mia cucina, trasformando la tradizione silana in un’esperienza gastronomica raffinata;

Il legame con il territorio è sempre stato centrale nel tuo percorso. Come si traduce nei tuoi piatti?

Per me la cucina è un racconto, parlo della Calabria montana attraverso ingredienti poveri che diventano protagonisti di piatti innovativi. Ad esempio, il formaggio di pasta senza lattosio è nato per pura curiosità, senza essere casaro volevo capire cosa succedeva eliminando il caglio animale e il lattosio. Alla fine, è diventato un prodotto distintivo della mia proposta. Oltretutto la Calabria non è solo mare, ma anche montagna, boschi, sapori ancestrali e innovazione. Hyle è il suo manifesto, il luogo dove il passato e il futuro della cucina silana si incontrano, in una narrazione che profuma di legno, funghi, erbe selvatiche e identità;

Nel 2021 arriva la stella Michelin con Hyle. Cosa significa per te?

Un riconoscimento enorme, ma anche una responsabilità. Hyle è un luogo di ricerca, con solo quattro tavoli, dove ogni piatto è un’esperienza sensoriale legata alla Sila. Raccontiamo un territorio poco esplorato in chiave fine dining, senza snaturarlo;

Cosa si mangia oggi da Hyle?

Difficile dirlo! Il menu cambia continuamente. Le 11 portate del percorso degustazione si adattano alle stagioni e ai prodotti disponibili. Senza volerlo, ci siamo accorti che il menu è quasi interamente vegetale,a parte un piatto di carne e un piccolo uso di proteine in un antipasto, tutto il resto viene dalla terra;

Da dove arrivano le materie prime?

Dal mio orto o da piccoli produttori locali. Anche le carni sono scelte con attenzione ad esempio, il cervo proviene dalla natura silana. Molti pensano che questi animali siano solo al Nord, ma tutta la dorsale appenninica  è popolata oltre che di cervi, di daini e caprioli;

Hyle ha quattro tavoli perché questa scelta di un ristorante così intimo?

Per garantire un’esperienza perfetta e perché in Calabria non serviva un grande ristorante fine dining. Non abbiamo una clientela numerosa ,ma molto di nicchia e dover mantenere un ristorante più grande sarebbe un gran dispendio di energia oltre che economico. Meglio concentrarsi su pochi coperti e un servizio impeccabile;

Qual è la sfida più grande nel lavorare in una zona meno battuta dal turismo gastronomico?

Il pubblico è più ristretto rispetto ad altre regioni. La Calabria ha 1,8 milioni di abitanti, mentre solo Napoli ne ha quasi tre. Questo incide sulla clientela potenziale. Inoltre, gli spostamenti sono complessi per attraversare la regione servono ore di macchina ad esempio  da Reggio Calabria ad Alto Monte ci vogliono cinque ore di autostrada;

Chi sono i vostri clienti?

Principalmente calabresi. Dopo la stella Michelin sono arrivati alcuni stranieri, ma sono ancora pochi. La maggior parte dei clienti sono calabresi che vivono fuori e vogliono riscoprire i sapori della loro terra, oppure piccoli imprenditori locali che scelgono Hyle per un’esperienza speciale;

Qual è il tuo sogno?

Il mio sogno più grande è vedere finalmente una Calabria che possa giocare alla pari con le altre regioni italiane e con le migliori destinazioni turistiche del mondo. Mi piacerebbe che il turismo qui diventasse un’esperienza completa, di qualità, non solo nel ristorante o nell’albergo, ma in ogni servizio. Sarebbe bello che anche il tabaccaio sapesse dire due parole in inglese ai turisti;

Come vedi la tua terra nel panorama enogastronomico?

Abbiamo un territorio straordinario, autentico, ma spesso manca la cultura dell’investimento;

Il prossimo obiettivo?

Insieme a mio fratello vogliamo trasformare la nostra struttura in un hotel cinque stelle lusso, un luogo dove ogni dettaglio è pensato per un’esperienza perfetta, immersa nella natura della Sila. Ma più che la classificazione, ci interessa creare una bolla perfetta, un luogo dove ogni dettaglio funziona alla perfezione e il cliente trova tutto ciò di cui ha bisogno, immerso nella natura della Sila;

Un progetto ambizioso!

Assolutamente, ma senza sogni e stimoli non si va avanti. È questo che ci dà la forza per migliorare ogni giorno;

Bosco 3.O

Un viaggio sensoriale nella Sila

In questa ricetta, lo chef ci accompagna alla scoperta di un piatto che racchiude tutta la sua filosofia: ingredienti selezionati con cura, un forte legame con la natura e un’estetica raffinata che non dimentica mai l’essenza del sapore. Un’interpretazione raffinata della cucina silana, dove ogni elemento ha un senso, ogni boccone racconta una storia.

Il piatto Bosco 3.0 è un’ode alla natura calabrese, un’immersione nei profumi e nei sapori del sottobosco, reinterpretati con una tecnica raffinata e innovativa.

Al centro, la namelaka ai porcini, morbida e avvolgente, esprime la profondità umami dei funghi esaltata dalla dolcezza del cioccolato bianco e dal tocco balsamico della liquirizia. Attorno, una serie di elementi che amplificano la sensazione di trovarsi in un bosco dopo la pioggia: la terra al cacao, friabile e leggermente amara, richiama il sottobosco umido, mentre il gel agli aghi di pino e bergamotto porta una nota resinosa e agrumata, fresca e persistente. L’equilibrio del piatto è scandito da dettagli che stimolano il palato: il limone sotto sale, con la sua sapidità controllata, fa emergere sfumature inedite, mentre i pinoli tostati aggiungono un contrasto croccante e aromatico. Il tartufo grattugiato intensifica l’esperienza olfattiva, amplificando la percezione terrosa e avvolgente del piatto.

L’elemento scenico e concettuale è rappresentato dalle pigne, piccole sfere dal cuore morbido che combinano la dolcezza del tuorlo e la rotondità della pasta di pinoli con una delicata nota agrumata. Un elemento che richiama visivamente la natura e, al tempo stesso, sorprende per il suo equilibrio tra dolce e sapido.  A chiudere la composizione, le cialde croccanti di carota, che con il loro colore acceso e la struttura sottile aggiungono un’ulteriore sfumatura vegetale, e il timo al limone, che rilascia una fragranza fresca e floreale. Lo chef Biafora costruisce “Bosco 3.0 “come un’esperienza gastronomica multisensoriale, unendo la tradizione della sua terra con una ricerca tecnica di altissimo livello. Le preparazioni sono il risultato di un’attenzione quasi scientifica alle texture, dalla meringa lavorata con oligofruttosio per una leggerezza assoluta, alle gelatine trasformate in creme vellutate o in elementi croccanti. Bosco 3.0 non è solo un piatto, ma una passeggiata tra gli alberi della Sila, un assaggio che racconta il legame con la terra e la voglia di innovare rispettando la natura.

Raffaella D’Andrea

 

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