Reunion pianistica al Conservatorio “G.Martucci” di Salerno per la tre giorni di masterclass del solista e didatta toscano, apertasi con una sua breve performance
Di OLGA CHIEFFI
Il pianismo campano si è stretto lunedì sera, nella sala concerti del Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci” di Salerno , ove stasera si chiuderà la tre giorni di masterclass tenuta da Andrea Lucchesini. Il pianista pistoiese appena giunto da Firenze ha trovato ad attenderlo una platea composita di docenti e allievi, pronti ad accogliere la sua scintilla nel corso delle audizioni e lezioni, che hanno spaziato dal solismo al quattro mani. Poi, a fine giornata, il dono che ogni docente, ospite del ricco ed internazionale calendario di masterclass, ha ormai preso abitudine elargire al pubblico che si raccoglie in aula. Introdotto da un perfetto ed affabile Massimo Trotta, Andrea Lucchesini, che ricordiamo diverse volte protagonista di brillanti rècital nei templi riconosciuti della musicacittadina, ha scelto di cimentarsi con tre autori per i quali occorre il cesello da incisore per poter comunicare con chiarezza le dinamiche e le sfumature delle loro pagine: Franz Schubert, Domenico Scarlatti e Fryderyk Chopin. Forse, è potuto sembrare strano posporre all’Improvviso op. 90 n°2 di Franz Schubert, una Sonata di Domenico Scarlatti, ma il pianoforte, è per il genio tedesco un derivato del clavicordo, aperto alle più sottili variazioni della dinamica e a una dizione alitante e, in questa attenzione alle minime sfumature, risiede la maggiore novità della sua scrittura pianistica. Fascinosa anticonvenzionalità per Schubert, da parte di un Lucchesini e consapevole di scelte che abbondano per idee e disponibilità affettive dalla coinvolgente carica emozionale, senza cadere nel tranello di quella giuliva ingenuità associata alla più corriva immagine schubertiana. Il merletto dell’improvviso, esaltato da un tocco ed un virtuosismo mai narcisistico e vuoto, ha, quindi, introdotto quello scarlattiano con uniforme gusto per la differenziazione delle sonorità, la definizione degli spessori, a leggere l’evoluzione della tastiera all’indietro, come in una sorta di cannocchiale rovesciato. Applausi scroscianti e finale affidato al Fryderyk Chopin dello Scherzo n°2 op.31 in Si bemolle minore, sicuramente il più popolare, assai articolato e complesso nell’architettura e nell’armonia, con una ampia gamma di intonazioni, e caratteri espressivi che vi si susseguono senza soluzione di continuità. La domanda delle terzine iniziali, il canto nobile, elevato, privo di sentimentalismi e leziosità, la ricerca del timbro, su di uno Steinway di un conservatorio, ove è rimasta solo l’idea dei feltri, in particolare nel registromedio, su ogni più piccola cellula melodica, schegge eloquenti di una delle composizioni più amate del genio romantico, sono state lanciate dall’idea pianistica di Andrea Lucchesini, la cui ricerca perforante, intensa, sfibrante non si accontenta mai del semplice contrasto luce ed ombra, ricercando in ogni momento la giusta ed innovativa balance. Ancora applausi di un pubblico ammirato, e calamitato dalla lectio magistralis di Lucchesini, tra cui abbiamointravisto diverse generazioni di pianisti e docenti da Giancarlo Cuciniello, a Ciro Raimo, da Giuseppe Squitieri a Giulio De Luca, ai colleghi più giovani, Costantino Catena, Salvatore Giannella, Lucio Grimaldi, Tiziana Silvestri, in trincea con i loro allievi, anime tutte della infinita lezione dell’arte della Musica.