di Marta Naddei
Rabbia. Rabbia perché probabilmente dovrà essere un giudice a decidere se sua figlia Manuela potrà essere curata con il metodo Stamina. Un’altra storia. Un’altra famiglia che spera in Stamina. Un’altra bambina che vedrà l’esercizio del suo diritto a curarsi riposto nelle mani di un giudice del Tribunale di Salerno. Manuela Fierro è una bella bimba di sei anni e mezzo e vive con mamma Mina, papà Ottavio (nella foto) e la sorella ed il fratello maggiori di 25 e 17 anni, ad Olevano sul Tusciano, piccolo paesino della Piana del Sele. Anche Manuela e la sua famiglia, come tante altre salernitane, ripongono le loro speranze di un miglioramento delle condizioni di salute della bambina nel metodo del professor Davide Vannoni.
La piccola Manuela è affetta dalla sindrome di Leigh, una encefalopatia mitocondriale degenerativa: una patologia che le è stata diagnosticata quando aveva cinque mesi, nel settembre 2007, in seguito alla ecografia alla “fontanella”. Manuela non parla, non cammina, vede e sente poco e non mangia più dalla bocca ma tramite Peg. Soffre di crisi epilettiche e risente di problemi all’anca. Ora è in cura presso il Bambin Gesù di Roma, ma è in Stamina che i suoi genitori ripongono le ultime speranze affinché la bambina possa stare meglio. «Perché lo sappiamo bene che per la malattia di Manuela non c’è cura. Siamo ben saldi con i piedi per terra. La nostra speranza è quella di poter curare la nostra bimba con Stamina per farla stare meglio» – dice Mina Fierro. Un incubo, quello della grave patologia di Manuela che, che si ripete per la famiglia Fierro che circa 20 anni fa ha perso un’altra figlia, Sabrina, all’età di otto mesi, per lo stesso motivo. «Stamina per noi – continua mamma Mina – rappresenta l’ultima chance per la nostra bambina. Io sono convinta che lei, con questo metodo, possa stare meglio. Ma trovo assurdo e mi fa immensa rabbia il fatto che per vedere applicato un sacrosanto diritto, per giunta di un bambino, quello a curarsi, si debba ricorrere al parere di un giudice che certamente non ha le competenze mediche per stabilire se ci sia la necessità di cure o meno. Ma stiamo scherzando?».
Ma com’è la vita di una mamma che ha una bambina con una patologia così seria e particolare? «All’inizio – spiega Mina Fierro – per me fu bruttissimo. Per circa un anno, io e Manuela siamo rimaste chiuse in casa. Mi rifiutavo di uscire, non sopportavo il contatto con le persone. Avevo paura a mettere il naso fuori di casa insieme a mia figlia: troppi sguardi interrogativi, troppi volti pieni di compassione. Io non volevo questo. Dopo un po’ io l’ho superata e invito tutti i genitori che hanno figli con queste patologie a farsi forza e andare avanti: ora porto ogni giorno la mia Manuela alla scuola materna, dove frequenta il quarto anno. Manuela è mia figlia, è la mia vita, e di quello che pensa la gente, degli sguardi compassionevoli e interrogativi che continuo a vedere, non me ne importa assolutamente niente. Dobbiamo combattere, lo stiamo facendo e continueremo a farlo perché mia figlia può e deve stare meglio».
A giorni i Fierro inoltreranno agli Spedali Civili di Brescia la richiesta di accesso alle cure: una richiesta che con tutta probabilità verrà rigettata con il conseguente ricorso della famiglia di Olevano.