Ambra Angiolini e la rivoluzione gentile - Le Cronache Spettacolo e Cultura
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Ambra Angiolini e la rivoluzione gentile

Ambra Angiolini e la rivoluzione gentile

È un’Ambra Angiolini che non ti aspetti quella che fa il suo ingresso nella sala Truffaut sulle note di Ti appartengo. Quei tempi sono lontani anni luce e lo leggi negli occhi di chi, di bianco vestita, in una eleganza semplice e spiazzante, impugna il microfono e illumina il palco per raccontarsi senza filtri e per parlare a una platea di giovanissimi, di fallimenti, errori, disagi, lacrime, ma anche della necessità di aggrapparsi alla parola e alla relazione umana per salvarsi e per salvare. Non ha scelto il suo lavoro, è stato lui a scegliere lei, appena tredicenne dice. Perché il suo sogno era quello di diventare una étoile. Troppo formosa, le dicevano. Inadatta. Tra il giudizio superficiale e il mito fallito, la bulimia, “la danza macabra che mi ha accompagnato per tanto tempo”. Di qui il suo impegno con l’associazione Alimenta nei Dca, i centri specializzati in disturbi alimentari, dove tiene laboratori simili a quello che ha voluto regalare ai giffoner. “La bulimia nasconde un vuoto, un bisogno d’amore fortissimo – spiega – E’ una malattia silente che genera confusione in chi ti sta intorno. Le mie voci interiori mi facevano sentire sbagliata e per premiarmi, ogni volta che riuscivo a superare un ostacolo relazionale, come ad esempio partecipare a un compleanno, mangiavo qualsiasi cosa e poi la vomitavo. Ho anche rischiato la vita per questo, ma poi ne sono uscita. Bisogna avere il coraggio di scendere nella propria caverna e di affrontarsi”. E alle volte accade tutto per caso. “Una sera ero a cena dai miei, come al solito sono andata in bagno e appena ho alzato gli occhi ho trovato un post-it di mamma. Mi scriveva che qualsiasi cosa avessi deciso di fare in quel momento, vomitare o non vomitare, lei sarebbe stata al mio fianco. Ho capito che in quel momento qualcuno aveva fatto realmente qualcosa per me, senza giudcarmi. E che forse non ero così sbagliata, perché in fondo molti di noi, di voi, pensano di dover dimostrare alla propria famiglia o agli amici chissà cosa. E invece, il messaggio che vorrei che capiste, è che non dobbiamo piacere necessariamente a tutti. Dobbiamo imparare ad amarci”. La fragilità? Un super potere, racconta ai juror e la tempesta di emozioni che ci attraversano vanno incanalate nelle tracce d’amore. “Da tempo ho preso l’abitudine di lasciare ovunque, in metro, nei posti dove lavoro, a casa, dei biglietti con sopra scritto quello che provo. Sono l’antitesi della violenza degli haters a cui i social ci hanno abituati. Lasciare una traccia d’amore è come dire, ce la farò e ce la farai anche tu. E’ una forma di condivisione che parte dall’ammissione di essere fragili e perdenti. Tante piccole luci fioche fanno l’alba di un nuovo inizio”. Ambra ha dunque invitato i giffoner a lasciare una traccia d’amore: i messaggi si sono susseguiti come un fiume in piena. Il dolore per l’abbandono dei genitori e l’adozione, la paura di non essere all’altezza di superare le sfide, le delusioni d’amore, il desiderio di portare dentro i traumi di una persona cara, il pianto liberatorio come atto di coraggio. Una rivoluzione gentile che a #Giffoni55 parte dalla caduta per educare alla rinascita.