Aldo Primicerio
E quale sarebbe l’Italia del sì? Quella degli italiani che scriverebbero sì ad un eventuale referendum confermativo sulla riforma delle funzioni dei magistrati, pardon delle carriere. Ma è anche l’Italia degli italiani che confermerebbero la fiducia al governo Meloni. E questo nonostante una sua lieve ultima flessione ed una forte crescita a due cifre del M5S al Sud, orfano del reddito di cittadinanza. Elementi che, attenzione, pare stiano modificando i numeri e le percentuali. Gli ultimi sondaggi (luglio 2025) di Demopolis e di Ipsos infatti sembrano eloquenti. Partiamo dalla destra. FdI oggi è al 28%, Forza Italia 8,1%, Lega 8,6%, Noi Moderati 1,15. Totale 45,7%. Vediamo il centrosinistra, considerandovi anche piccoli partiti che si collocano al centro: Pd 21,1%, M5S 14,3%, AVS 5,8%, + Europa 2,2%, Italia Viva 2,2%, Azione 2,6%. Totale 48,2%. Sono solo le intenzioni di voto di oggi, certo. Tra una settimana o il mese prossimo potrebbero cambiare. Ma è una tendenza che va seguita. E poi bisogna fare i conti con l’eccentricità di alcune forze della sinistra e con la loro riluttanza a fare massa critica. Se ci avessero pensato prima e l’avessero fatta, oggi alle Camere ed a Palazzo Chigi avremmo altro. Ma il centrosx non ci ha pensato e continua a non pensarci. Preferisce alzare la voce, scatenare la bagarre, agitare striscioni, ma non la cosa più importante. Fare politica seria stando uniti. Con l’obiettivo di governare il Paese. E poi, non ultima, la questione del leader. L’Italia è orfana del tradizionale leaderismo che connotò la Prima Repubblica e, se vogliamo, anche il berlusconismo, un fenomeno politico e culturale che, tra alti e bassi, segnò tre decenni
Giorgia Meloni. La prima donna presidente del Consiglio. Se è un vero leader giudicate voi. Per molti, non lo è
Due fatti ultimi infatti pregiudicano fortemente l’aspirazione della Meloni ad essere considerata una leader.
Il primo resta la vicenda Almasri, il criminale libico che l’Italia ha rimandato a casa con un volo di Stato, invece di consegnarlo alla Corte Penale Internazionale che contro di lui aveva spiccato un ordine di cattura perché colpevole di crimini contro l’umanità. Il Tribunale dei Ministri ha archiviato la posizione della Meloni, ma non quella dei ministri Nordio e Piantedosi e del sottosegretario Mantovani, sui quali è stata richiesto il voto del Parlamento sul loro rinvio a giudizio. Cosa accadrà? Forse proprio nulla. Sono molti ad esserne convinti, primo fra tutti Marco Travaglio direttore de Il Fatto Quotidiano. Secondo lui “dell’indagine non resterà nulla, a parte due cose: 1) la vergogna di un governo che scarcera un aguzzino senz’avere il coraggio di dire di essere ricattato dai libici; 2) le menzogne della destra per coprire tutto, miste a un’ignoranza crassa – alimentata dai media – sui doveri della magistratura”. La Meloni fa di più. Già invocail segreto di Stato. E poi irride il Tribunale dei Ministri, affermando che lei sapeva tutto su Almasri, perché è il Presidente. Il problema è la lingua italiana ed il dettato dei diritti-doveri di un presidente del Consiglio, con cui Giorgia Meloni sembra fare confusione. “I giudici non dicono che non sapesse o dissentisse dai tre, aggiunge Travaglio: parlano di “condivisione” nel senso di partecipazione attiva e funzionale alle scelte incriminate. Cioè la liberazione di Almasri dopo l’arresto su mandato di cattura della Cpi (favoreggiamento e omissione di atti d’ufficio); e il suo rimpatrio su un aereo dei Servizi (peculato). Gli ordini di arresto internazionali e i voli di Stato non sono funzioni del premier, che per Costituzione “dirige la politica generale del governo. E poi ogni ministro risponde delle proprie funzioni”. A meno che la Meloni non si senta un Mussolini che vuole tenere tutti in pugno.
E siamo al secondo fatto. La sua decisione di sedere solidarmente al fianco dei ministri, se e quando ci sarà il voto parlamentare ad ottobre, anche quello non è da leader. E non lo è neanche quella di interpretare quello che accade come un effetto della esondazione della magistratura verso aspirazioni politiche, come ha scritto un giornale di destra. I magistrati sanno meglio di lei cosa devono e possono fare. Tutto questo ha fatto scattare Conte e Schlein. Il primo parla di gravi errori, la seconda di atti e frasi eversive. Non sappiamo se è così e non ci pronunciamo. Ma questa brutta storia ha fatto il giro del mondo.
Le toghe. Dalla Meloni ormai attacco frontale. Pensa di essere la Trump italiana. Ma la “riforma della giustizia” quali effetti produrrà?
Effetti? Nessuno apprezzabile. L’abbiamo già scritto e riscritto. La separazione delle carriere non è una riforma della giustizia. E non è sua nemica. E’ semplicemente frutto dell’inadeguatezza del governo, della presidente Meloni, del ministro della Giustizia Nordio. Che non sanno documentarsi, né leggersi le proprie carte ed i propri numeri. E, tronfi di un inutile orgoglio, si dichiarano fieri di aver ottemperato ad un impegno con l’elettorato. Che da parte sua non ha mai esplicitamente espresso di separare carriere, invece indicate come una sola nella Costituzione Italiana. Cari lettori, avete mai pensato che la separazione delle carriere dei giudici fosse una delle prima cose indispensabili da riformare? Poi, il magistrato. Superato il concorso, lui viene convocato con i suoi neo-colleghi ad un’assemblea in cui viene pubblicamente chiamato a scegliere tra la carriera giudicante e quella inquirente, e poi a indicare la sede di lavoro. Una scelta che parte dal di dentro, quindi da una convinzione interiore, meditata, e che di rado egli chiede di cambiare, probabilmente solo per cambiare sede. Quindi, cari Giorgia e Carlo, la separazione è e resta un non-problema. Purtroppo molti italiani – presi da altro e suggestionati dall’invadenza del presidente del Consiglio sui grandi media e sulle piattaforme social – non hanno ancora la giusta percezione della separazione delle funzioni magistratuali. E quindi la giudicano, con indifferenza, positiva sulla imparzialità dei giudici. Come se il Pubblico Ministero oggi esercitasse un influsso suggestivo sul giudice. Semplicemente ridicolo. Ed autolesivo dell’intelligenza di un ex-Pm come l’attuale ministro Nordio. Anche nell’ipotesi di un referendum confermativo (speriamo non ci sia, per non sprecare altri soldi inutili), nelle risposte di un sondaggio Swg gli italiani pensano che la separazione delle funzioni-carriere influirà solo nel 29%, mentre sarà ininfluente o negativo nel 71% delle risposte. Ma Carlo e Giorgia se ne fregano di quello che pensano gli italiani. E le stesse percentuali emergono nelle risposte sull’efficienza della giustizia, sul rapporto tra giustizia e potere politico, e negli effetti personali dei cittadini. E sulle indagini della magistratura sulla politica, cosa ne pensano gli italiani? Più di 3 su 10 le ritengono giuste ed oggettive, solo 2 su 10 una forzatura. Infine la fiducia degli italiani nelle istiotuzioni. Sulla magistratura, anche se calata negli ultimi 10 anni, resta ancora solida al 42%. Quella nella politica e nei politici, sotto il 20%, al minimo storico. Le conclusioni traetele voi, cari lettori.





