Non poteva non essere “swingante” la nobildonna creata da Gianluca Gori, che martedì sera ha stregato un teatro Verdi zeppo in ogni ordine di posti, chiudendo in bellezza il cartellone della sala Pasolini
Di Olga Chieffi
Non sopporta le ditate sul pianoforte, ma ama stendersi sulla sua coda, come le grandi dive, il nome Drusilla, dietro il suo suono acceso e allegro come un campanellino, alimenta il suo segno di “unicità”. In un teatro Verdi stracolmo in ogni ordine di posto, Drusilla, la nobildonna creata da Gianluca Gori, si è raccontata all’osannante pubblico salernitano, spaziando dalla telefonata con Ornella, con cui ci ha intrattenuto su you tube durante la pandemia, con la quale ha un rapporto di amore ed odio, al canto, alla recitazione drammatica, in cui anche nella sofferenza vi è sempre una sorta di “compostezza” e una lezione da imparare. Suo padre era un diplomatico e lei è cresciuta a Cuba, dove vi è rimasta fino alla maggiore età. Poi Parigi, Chicago, Bruxelles, Madrid, Viareggio, New York dove apre un negozio di abiti usati e conosce i grandi del mondo artistico degli anni ’70 , offrendo pane e olio e Chianti, avviando un ferace “retrobottega” culturale. Quindi, il grande ultimo amore con Hervé Foer, la vita la sua scomparsa fisica, la presenza di una assenza. C’è una sorta di stupore infantile nel modo in cui i tanti personaggi vengono trattati. Stupore che viene abilmente disilluso da un cinismo che tende alla realtà degli eventi naturali della vita. Si trattano molti aspetti umani e si affrontano molte debolezze ma senza rimpianti o sentimentalismi esagerati. Sua musa ispiratrice una nonna napoletana stronza: vanitosa, dura, anaffettiva. Mai una carezza, un bacino, un gesto d’affetto, tant’è che i nipoti nonna Filangera, detta Gera, dovevano chiamarla “Signora Nonna”. Donna severissima solo in apparenza integerrima e tutta d’un pezzo, si addormentò e si spense durante una recita del Fidelio al teatro di San Carlo, nel palco di famiglia. Erede dello spirito di Nonna Gera, racchiusa nei gioielli e nel diario, Madame Drusilla, un vero vulcano di curiosità, spregiudicatezza, esperienza. Ma quale è la musica di Drusilla, che ha conosciuto il pianista Loris Di Leo, in una festa esclusiva? Non poteva non essere altro che l’eleganzissimo swing, con cui ha esordito in “Canto anche se sono stonato”. La musica di Lelio Luttazzi, poi il ricordo della grande Milly, c’è Mia Martini, in questo pari eleganzissimo raccontar-cantando e un omaggio ad Amy Winehouse con l’intensa “Love is a losing game”. Si sa Gianluca Gori è un cantante ma non è semplice dar voce a Drusilla, la quale ha sfoderato un timing prodigioso e naturale che, le ha permesso di avventurarsi lungo rapide progressioni creando luminose e giocose improvvisazioni in scat, parafrasi e digressioni a sorpresa e di confrontarsi con ogni genere di song, conservando, pur nel suo fine perlage, l’aplomb e il dinamismo del suo fraseggio, la nitida e aggraziata fluidità della sua enunciazione. Poi, l’attenzione alla parola e al testo dell’inno dance di Gloria Gaynor “J will survivor”, intimo e personale e l’urklang contro la guerra evocando Anna Magnani in La Sciantosa, cantando commossa “ ‘O surdato ‘nnammurato”, dedicato a chi soffre in questo momento sotto le bombe. Drusilla ha intavolato intensi dialoghi con il bel sassofono tenore e soprano di Nico Gori, che riconosciamo clarinettista, dal suono rotondo supportato da una solidissima tecnica, che è riuscito in diverse occasioni a porre in risalto il mimetismo strumentale della nostra vocalist, ponendosi anche alla guida di un trio e anche di un duo, col pianista dal raffinato interplay, capace di allargare a proprio piacimento la tavolozza sonora, proiettando avanti il linguaggio, senza perdere di vista aspetti essenziali del campo artistico di appartenenza, nella fattispecie l’improvvisazione, l’espressività ritmica e il ritmo, anzi, proprio l’adesione ai concetti ritmici del jazz, la cura minuziosa del sound e il non rinunciare mai, nemmeno in presenza di strutture ampie e vincolanti, alla pratica improvvisativa, per un pezzo su tutti, il virtuosistico Hips. Finale con il chitarrista Franco Godi, sul palco compositore per la pubblicità, per la tv e per il cinema fin dagli anni ’60, scopritore e artefice dell’hip hop di successo in Italia dagli anni ’90 in poi, qui in veste di produttore con la sua Best Sound, per un “O que tinha de ser” di Tom Jobim e Vinicius de Moraes. Applausi scroscianti e l’invito ad ognuno nella propria unicità e nel rispetto dell’eccezionalità degli altri ad essere sempre se stessi, tentiamo il vero atto rivoluzionario, che è l’ascolto, di se stessi e degli altri, facendo scorrere i pensieri in libertà.