di Erika Noschese
Incertezze, timori ma anche volontà e, come è inevitabile che sia, necessità di credere nel futuro per il proprio territorio e per dare continuità ai tanti investimenti fatti. Questa è l’aria che si respira un po’ su tutte le aree costiere del nostro Paese, dopo la proroga delle concessioni balneari fino al 2027 da parte del Governo. Non per tutti, però: il Comune di Capaccio Paestum già dal 2020 aveva avviato un dialogo produttivo con gli imprenditori del settore balneare che aveva portato al prolungamento delle concessioni fino al 2033. Un tempo non lunghissimo, ma più che raddoppiato rispetto ai “classici” sei anni di concessioni pregresse e, soprattutto, degnamente più lungo rispetto ai due anni di proroga concessi dal Governo nazionale. A confermarlo è anche Alessio Di Lucia, gestore del “Clorinda Mare” di Capaccio e segretario dell’associazione “Amare Paestum” che raggruppa tutti i balneari della città.
Il territorio ha una evidente vocazione turistica, anche sul fronte mare.
«Il Comune di Capaccio, negli ultimi sette anni, cioè da quando si è insediata l’ultima amministrazione, ha avuto un passo abbastanza deciso per quanto riguarda le attività turistiche e il progresso turistico. Basti pensare al lavoro fatto sul Lungomare di Capaccio Paestum: l’amministrazione lì ha creato tanto per i gestori balneare e per la comunità intera, dando uno slancio in più ai servizi turistici in generale».
Con o senza benefici?
«Sicuramente gli imprenditori turistici, non solo quelli balneari ma di tutto il comprensorio turistico, ne hanno beneficiato».
Eppure, resta l’incertezza del futuro, soprattutto per i balneari.
«Noi concessionari balneari viviamo da tanto tempo in questo limbo di insicurezza, perché non c’è mai stata una legge che alla fine abbia legiferato su tutto quello che riguarda la materia delle concessioni balneari. Tenendo conto, soprattutto, che l’Italia si trova ad affrontare una situazione in cui bisogna prendere con le pinze qualsiasi tipo di titolo concessorio, in quanto sono tutti stati rilasciati in maniera differente. Basti pensare al comune di Capaccio, che ha avviato un bando per poter rinnovare le concessioni, mentre altri hanno provveduto al rinnovo automatico. In questo caso, quindi, si vengono a creare problemi dal punto di vista legislativo e dell’imprenditore. Ci sono persone, con un titolo concessorio e con una potenziale sicurezza di avere 15 anni di tempo per rientrare dell’investimento fatto, non solo per il territorio ma anche per i cittadini, che hanno creduto nella possibilità creatasi. Altri sono stati frenati da questa cosa».
Investire senza sapere cosa accadrà domani è, a tutti gli effetti, un rischio enorme.
«Già prima vivevamo in un limbo, senza avere mai la certezza di poter investire al 100% per poter restare concessionari del bene, ma ora viviamo un’ansia costante rispetto al futuro. Ogni Tar, possiamo dire, aggiunge un pezzettino alle sentenze precedenti e fa giurisprudenza. Le sentenze attuali stanno spostando quello che è il vero punto della questione: la direttiva Bolkestein ha punti fermi, tralasciando il tema di beni e servizi perché non rientreremmo nemmeno nella direttiva visto che si parla di servizi e non di beni, visto che il bene lo abbiamo messo noi. La seconda cosa è che molti di questi imprenditori, nostri colleghi e soci dell’associazione hanno incertezza sull’investire. Ne parliamo spesso tra di noi. Il Comune di Capaccio Paestum ci ha dato un punto a cui appigliarsi, perché ricordiamo che un mese fa è uscita una sentenza del Consiglio di Stato che dice che anche le concessioni lasciate tramite evidenza pubblica sono annullabili. Quindi non sono annullate, ma sono annullabili, quindi c’è il presupposto. Tutto questo va ad incidere sull’imprenditore».
E l’imprenditore come la vive?
«Un po’ di preoccupazione c’è. E c’è anche paura nell’investire. Gli stabilimenti balneari richiedono tanta manutenzione: siamo sempre attaccati poiché ritenuti lavoratori che operano per due mesi all’anno e basta. Noi lavoriamo da febbraio a dicembre per cercare di mantenere lo stabilimento in un decoro ai massimi livelli, offrendo un ottimo risultato ai cittadini. Basta una mareggiata per distruggere il lavoro di anni. Insomma, un po’ di preoccupazione c’è. Molti soci, ovviamente, investono perché continuiamo a investire ma sempre con un occhio preoccupato rivolto al futuro».
Le istituzioni locali vi sostengono?
«Con il Comune abbiamo sempre avuto un buon dialogo: ha sempre cercato di stare dalla nostra parte. Noi siamo i primi attori del nostro territorio, soprattutto per quanto riguarda il mare. Siamo i primi che portano al Comune, ogni sei mesi, le prospettive dell’estate successiva e, quando la stagione finisce, un report sui miglioramenti che possiamo apportare per migliorare il servizio. Abbiamo fatto anche richiesta di poter pulire le dune, patrimonio ambientale del territorio, che vanno tutelate per tantissimi motivi, tra cui erosione costiera, sviluppo della vegetazione, fronte spiaggia. Siamo i primi che cercano di dare il buon esempio. Parlo a nome di tutti i soci e concessionari, anche d’Italia per quel che vedo: si sta notando attaccamento ai principi di chi fa questo lavoro».
Il suo stabilimento di che tipo è? Quanto indotto generano gli stabilimenti di Capaccio Paestum?
«Il mio è uno stabilimento fronte mare, che poggia sul demanio, con ristorante, bar, pizzeria e tutti i servizi accessibili per il cittadino. Quasi ogni struttura dà lavoro ad almeno 20-25 persone ogni anno, che non sono poche. Parliamo sempre di dipendenti stagionali, eprché abbiamo una concessione stagionale, ma i numeri sono quasi da albergo. E soprattutto, nella maggior parte dei casi, quasi nella totalità, andiamo contro tutti gli attacchi che subiamo quotidianamente da tanto tempo sullo sfruttamento della forza lavoro: non è assolutamente così. Inviterei qualsiasi persona a lavorare con noi, quando vuole».
Per favorire ulteriore sviluppo all’area di vostra competenza si sta pensando alla destagionalizzazione dei servizi?
«Molti si stanno già avvicinando a una destagionalizzazione. Bisogna anche contestualizzare, perché in alcuni mesi come dicembre e gennaio risulta infattibile aprire: vuoi per il tempo, mareggiate, freddo, servizi che in alcuni mesi vengono a mancare. Noi non chiudiamo mai, praticamente: iniziamo la manutenzione a inizio febbraio per poter aprire il prima possibile, cioè tra metà marzo e l’inizio aprile, restando aperti fino a ottobre o fino a quando il tempo lo permette e il personale ha la possibilità di lavorare».





