di Olga Chieffi
“Fu costretto/ in un furgone gli sembrò/la scala per una vecchia cripta per l’estrema/unzione) qui fu bendato, chiuso/in un baule di legno, senza nessuna/spiegazione, come fosse tutto/in un copione”. Domani, alle ore 16,30 nel salone Bottiglieri di Palazzo Sant’Agostino, Aldo Masullo, parlerà de’ “Il corpo di Moro”, scritto da Rino Mele nel 2001 pubblicato dalle edizioni 10/17 e riedito quest’anno dalla Oedipus. Un volume questo che prende di petto la morte, ma non la morte metaforica, retorica o letteraria, la morte “vera”, la morte di un uomo, la morte di un uomo pubblico. Un libro che rischia per dire, per raccontare, per documentare “dall’interno”, la dimensione tragica della contemporaneità. A parlare del volume di Rino Mele, il filosofo Aldo Masullo che interagirà con Pasquale De Cristofaro che evocherà i versi del poemetto e col violoncello di Emanuele Esposito, il quale ha scelto di sposare la parola del poeta con il segno musicale di Johann Sebastian Bach e George Philipp Telemann, una riflessione in musica, che ha il potere di dissolvere la zavorra del tempo e di condurre per mano l’ascoltatore attraverso un sentiero sonoro chiuso nei termini di una sofferta meditazione, che prenda il pathos di un conflitto intero inscenato nella coscienza di un individuo. Il 9 maggio il cadavere di Moro fu ritrovato adagiato nel bagagliaio della R4 rossa usata dai brigatisti per l’ultimo viaggio del presidente. La macchina era parcheggiata in via Caetani, a metà strada tra Piazza del Gesù, dove si trovava la sede della Democrazia, e via delle Botteghe Oscure, dov’era il quartier generale del Pci: i due partiti del compromesso storico che le Br avevano deciso di combattere imbracciando il mitra. Aveva il vestito grigio a righe e la cravatta che indossava il giorno del suo rapimento in via Fani, dove i cinque uomini della sua scorta morirono crivellati dai colpi delle mitragliette Skorpion.nMoro non voleva soccombere, e non voleva che soccombesse la sua visione politica di sbloccare la democrazia italiana favorendo un’evoluzione socialdemocratica del Pci. Le sue ‘lettere dal carcere’ (alla moglie Noretta, a Cossiga, a Zaccagnini, al Papa) chiedevano di trattare con i suoi sequestratori. Ma il fronte della fermezza (comunisti e democristiani) non poteva accettare che Moro parlasse all’opinione pubblica contraddicendo la linea dei partiti di governo, quel governo di unità nazionale che lui stesso aveva progettato e fatto nascere. E, dunque, durante la sua disperata battaglia per la vita, il presidente sequestrato dai brigatisti conobbe l’onta e il disonore di essere presentato dai suoi compagni di partito come una persona debole, fiaccato dai suoi carcerieri, che anteponeva la sua vita al bene del Paese. Come poteva Moro aver scritto ai capi della Dc: ‘Il mio sangue ricadrà su di voi’? Eppure lo aveva fatto. Il giorno del ritrovamento del cadavere, la famiglia decise di consumare lo strappo con le istituzioni. La moglie e i figli rifiutarono i funerali di Stato e seppellirono Aldo Moro in forma privata nel cimitero di Torrita Tiberina. Lo Stato volle comunque una cerimonia solenne, che fu celebrata da Paolo VI a san Giovanni. La bara di fronte all’altare era vuota. Lo Stato non si era piegato al ricatto dei brigatisti. Le Br non avevano avuto nessuna forma di legittimazione. Ma qualcuno avrebbe potuto assugere alla vittoria? Quella vicenda si era conclusa con una morte (che si aggiungeva a quella degli uomini della scorta) e molti sconfitti. Lo Stato non era riuscito a trovare il covo delle Br e liberare Moro. Il compromesso storico tra Dc e Pci si sarebbe interrotto di lì a poco. Le Br sprofondarono in un delirio di incomunicabilità che le isolò completamente dal Paese. La famiglia lo aveva perso per sempre. E da quel giorno di maggio è cresciuto sempre di più il sospetto che dietro l’uccisione del presidente della Dc ci sia stata qualche complicità inconfessabile. Questa è la morte di Aldo Moro, nel quarantennale, una tragedia che si è trasformata in un enigma che ora solo la parola, la musica, il gesto, possono ancora sciogliere.