Acciaroli. In un porto d’arte con Valerio Falcone - Le Cronache Spettacolo e Cultura
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Acciaroli. In un porto d’arte con Valerio Falcone

Acciaroli. In un porto d’arte con Valerio Falcone

Olga Chieffi

Tramonto sul porto di Acciaroli e Pollica oggi alle ore 19, quando nella golden hour sarà inaugurata la X Edizione del Porto D’Arte Contemporanea con le mostre degli artisti Sandro Chia e Christian Leperino – a cura di Massimo Sgroi. Il progetto, con la Direzione Artistica di Valerio Falcone e sostenuto dal Sindaco di Pollica Stefano Pisani – gode del Matronato del Museo Madre – Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee di Napoli e il Patrocinio della Regione Campania, della Provincia di Salerno e del Comune di Pollica. Il Porto d’Arte Contemporanea ad Acciaroli è il primo di questo genere in Europa. È un progetto innovativo che nasce nel 2015 da un’idea di Valerio Falcone e si basa sul rapporto fra l’identità storica del luogo, Acciaroli – Pollica, e, più in generale, l’area del Mediterraneo, e la relazione che essa ha con le altre culture e le filosofie artistiche contemporanee, riscoprendo la centralità della cultura mediterranea all’interno del mondo occidentale. Questa forma abbastanza anomala di Museo di Arte Contemporanea, un Museo “diffuso” a cielo aperto, ha come finalità quella di promuovere le forze creative dell’area campana e di quella mediterranea che la accoglie. Proprio per la particolarità di questo progetto, infatti, il Porto d’Arte Contemporanea ambisce ad essere il punto di riferimento artistico-culturale dell’Area del Mediterraneo facendo da rete di collegamento creativa in questa zona geografica. Intorno al Porto d’Arte Contemporanea si sono alternati e ruoteranno molti dei più grandi artisti, critici, galleristi ed intellettuali di fama mondiale che conferiranno a questo progetto uno status ed una dimensione di elevato spessore internazionale. Fare arte in un porto è iniziatico e simbolico. Significa incontrare realtà antichissime ancora vive, a fianco dell’ultramoderno. Tutto questo perché il Mediterraneo è un crocevia antichissimo. Nel paesaggio fisico come in quello umano, il Mediterraneo crocevia, il Mediterraneo eteroclito si presenta al nostro ricordo come un’immagine coerente, un sistema in cui tutto si fonde e si ricompone in un’unità originale. Sono segni che sovvertono le certezze, invece di fissare coordinate precise. Così, niente di più fluido ed evocativo di un paesaggio composto di arte perché dai sensi trapelano storie, con la loro densità affettiva e la loro costitutiva eccedenza rispetto al tempo e ai luoghi, “Un’infinità di tracce accolte senza beneficio di inventario”, direbbe Gramsci. Due le visioni in mostra. Nella sua visione onirica del mondo e del processo storico che lo ha portato alla sua rappresentazione, Sandro Chia, scrive il curatore, nasconde l’ipotesi concettuale che più definisce la contemporaneità: l’altro da sé. Chia assume la sedimentazione dell’evoluzione pittorica come elemento che stabilisce il mondo del terzo millennio, una sorta di metaverso ancestrale che esiste fin dalle pitture sacrali delle grotte di Altamira. L’idea di virtualità attraversa i millenni per sedimentarsi sulla superficie della tela che, nel suo costruire un mondo onirico e metafisico, riassume ciò che Baudrillard definisce il “delitto perfetto”, ovvero una realtà che sparisce sotto un eccesso di realtà. E’ la stessa dimensione del sogno come delle realtà immateriali che l’artista fiorentino sintetizza all’interno delle sue opere; all’eccesso cromatico corrisponde, per contrapposizione, la rarefazione della realtà stessa. Il lavoro di Chia ha delle forti affinità visionarie con il realismo magico di Borges, dove le ontologie fantastiche hanno la stessa importanza della vita stessa. L’artista, infatti, ricerca da sempre alleanze nella storia delle immagini, con uno sguardo critico e al contempo dolce che amplia il raggio d’azione della sua visione. Ed è per questo motivo che la carta diventa per lui un grande spazio di libertà, in cui sperimenta con autentica freschezza e genialità, costruendo un suo immaginario denso di riferimenti alla storia dell’arte, ma anche di evocazioni ironiche e beffarde, oscillazioni tra corpi, simboli e allegorie dell’arte e della vita. Ma hanno la stessa dimensione del sogno gli sguardi perduti delle tre sculture di Christian Leperino; attraversate da una visione intima, esistenziale e dolorosa che, nel guardare l’abisso, ripensano a ciò che è stato ed a quello che non sarà. Esteticamente eleganti, raffinate, le tre opere sintetizzano sia la visione sociale della concettualità artistica di Leperino, sia le scelte estetiche e formali che concedono poco alla mediazione. Le opere sono dirette, senza possibilità di fraintendimenti, rivolte verso quel mare che, come un deja vu, riporta verso le origini quegli esseri umani che hanno guardato nell’abisso ricevendone, in cambio, la stessa visione. La materia assorbe e restituisce le loro storie, che rivivono attraverso i lineamenti e le espressioni dei diretti protagonisti. Il dialogo tra presenza e assenza, identità e alterità, il corpo e la sua immagine, fa da sfondo a una riflessione sull’identità, sulla possibilità di riconoscersi e incontrarsi nell’altro da sé. Pensieri marittimi che ci attirano verso ciò che sopravvive e persiste come risorsa culturale e storica capace di resistere, turbare, interrogare e scardinare la presunta unità del presente.