A Salerno non si ebbero reazioni anti fasciste: perse le tracce - Le Cronache
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A Salerno non si ebbero reazioni anti fasciste: perse le tracce

A Salerno non si ebbero reazioni anti fasciste: perse le tracce

Quella mattina il Vescovo desiderava portare sulle rovine fumanti la testimonianza pastorale di vicinanza all’umana sofferenza. Un gesto desiderato ma incompiuto. Un segno pastorale identico fu messo in opera il 19 luglio dal Papa Pio XII a San Lorenzo a Roma. Come ben sappiamo il bombardamento di Roma fu preludio alla “caduta del fascismo”. Quando ciò avvenne per i salernitani, rimasti in città senza fuggire, non fu altro che una conferma di un fatto già visto. Costoro il disfacimento morale del regime lo avevano percepito già il mese prima, quando solo la gente comune, l’UNPA e i pompieri si prodigarono nello scavo dei morti, tanto che non fu redatto neppure un elenco definito di vittime e di circostanze, tanti, e non solo in divisa, si erano colpevolmente dileguati. La consapevolezza reale di tali eventi tragici si sommava alla conoscenza ormai di pubblico dominio della perdita delle colonie, con tanti italiani abbandonati al loro destino senza neppure tentare un rimpatrio, fatti che accrebbero nel Pastore della Diocesi la convinzione realistica che solo il Clero poteva essere vicino agli ultimi in frangenti tanto dolorosi. Monterisi prevedendo tempi difficili per il paese tutto, nei giorni successivi ordinò ai suoi sacerdoti di non abbandonare le chiese della sua diocesi in nessun tipo di evenienza e di stare il più possibile vicino ai fedeli. Dopo i primi bombardamenti Salerno prese a svuotarsi perché chi ne ebbe la possibilità economica, la forza fisica e aveva luoghi dove dirigersi, si allontanò dalla città. Non si creda sia stato un esodo coordinato o diretto dalle forze pubbliche preposte, fu un abbandono confuso, autonomo senza indirizzo o coordinamento. Certo ogni famiglia allontanò chi più bisognoso di protezione. Chi portò via i vecchi, chi i malati chi i bambini piccoli, o le donne ricoverandoli in zone più disparate delle campagne limitrofe ritenute più sicure. Spesso per presidiare casa, beni attività in città a volte anche per continuare ad assistere gli anziani infermi, i vari membri familiari si alternavano organizzando turni tra i vari familiari. Il lento disgregarsi della struttura sociale cittadina condusse in breve alla quasi completa scomparsa dei beni primari di sussistenza, inoltre gli eventi militari in Sicilia portarono nel meridione ad ampliare la presenza militare tedesca. Ci fu l’abbandono della città anche da parte delle autorità civili, compresi il podestà e il prefetto che trasferendo gli uffici a Cava dei Tirreni confermò il distacco quasi totale delle istituzioni, garantito solo da una residuale presenza dei Regi Carabinieri. Questi cercarono di assicurare una minima presenza dello stato, cercarono di garantire la corretta vendita dei beni razionati, e dove possibile il ripristino dell’acqua. Il pane e gli altri elementi razionati già dopo il 21 giugno divennero sempre più introvabili entrando nel vortice insidioso della borsa nera. Dopo il 25 luglio con la nomina di Badoglio a capo del governo, fu ancora il vescovo Monterisi e i suoi sacerdoti a dover delucidare il popolino sui fatti nella loro cruda realtà. A Salerno non si ebbero reazioni anti fasciste perché di questi si erano perse le tracce già il mese prima. La grande storia menziona l’agosto in città solo per i ripetuti casi di bombardamenti alleati, incurante di quanto tali eventi abbiano inciso sulla mesta vita dei poveri cristi! La città si andò sempre più popolando di tedeschi che posero comandi in città e accampamenti per le truppe che affiancarono la 222° divisione costiera del generale Gonzaga. Nel lento trascorrere dei giorni la sola porta che riuscì a garantire un residuale sollievo alla povera gente, rimasta in città, fu la mensa arcivescovile. Monterisi, nonostante l’età e le cagionevoli condizioni di salute, rimase in curia, e fu percepito dalla gente come il defensor civitatis, impegnato con la Chiesa della diocesi a svolgere un ruolo di supplenza civile, di fronte all’assenza o latitanza delle pubbliche autorità. Il vescovo i suoi sacerdoti utilizzarono quanto avevano in moneta e quando fu possibile, barattarono finanche beni personali e curiali, pur di garantire una scodella di zuppa o un tozzo di pane a chi bussava alla porta in curia. Tanto che una volta finito ogni denaro per acquistare quanto necessitava per la mensa, un colono del Paradiso di Pastena, abituale fornitore della curia, baratto un servizio di tazze di Limoges per un carico di frutta e verdura. Costui negli anni seguenti quando aveva ospiti importanti diceva alla moglie servi il caffè con il servizio del Vescovo, andando a incuriosire gli astanti per poi raccontare il possesso di un bene non allineato al suo modesto tenore di vita. La situazione dei beni di sussistenza si fece via via sempre più difficoltosa almeno fino all’arrivo degli angloamericani, quando il mondo militare e politico fu costretto ad accorgersi della fermezza morale di quel vecchio Vescovo.
Giuseppe MdL Nappo Gruppo scuola
del Consolato Provinciale Maestri del Lavoro SA