Olga Chieffi
Il virtuosismo di Yuja Wang come quello di Lang Lang spacca sin dalla loro prima apparizione il mondo della critica. Virtuosismo vuoto o c’è dell’altro? Stasera alle ore 21, sul palcoscenico del Ravello Festival, il cui LXXIII cartellone è stato firmato da Lucio Gregoretti, vedremo e ascolteremo la pianista cinese che oltre a vestire il doppio ruolo di direttore e solista della Mahler Chamber Orchestra offrirà l’atteso tocco glamour, con i suoi tacchi a spillo, gambe saettanti, sguardi severi, muscoli caldi, tubini inguinali. In festival Puccini style, il concerto avrà pure la sua “prima della prima” con la illustrazione del programma da parte del compositore Marcello Filotei, negli spazi di Palazzo Avino alle ore 18. La serata principierà con l’Ottetto per strumenti a fiato di Igor Stravinskij, composto per l’insolita combinazione di flauto, clarinetto, due fagotti, due trombe, trombone e trombone basso, ispirato da un sogno che lo stesso compositore racconta nell’articolo Some Ideas About My Octuor, pubblicato a gennaio del 1924 sulla rivista The Arts: “… mi sono visto in una piccola stanza circondata da un piccolo gruppo di strumentisti che suonava musica piacevole … erano otto e suonavano fagotti, tromboni, trombe, un flauto e un clarinetto“. La partitura ultimata nel 1923 è caratterizzata dall’utilizzo di forme antiche, come la sonata e il tema con variazioni ed è generalmente considerato l’inizio del periodo neoclassico nella musica di Stravinsky, suddivisa come è in tre parti, Sinfonia, Tema con variazioni, Finale. Il primo movimento si svolge nella forma tipica della sonata classica, con esposizione, sviluppo, ricapitolazione: inizia con un’Introduzione in tempo lento che conduce al tema principale, una marcetta allegra, palpitante che si riascolta anche nella chiusura di questa prima parte. Il movimento centrale, molto articolato e impegnativo per i solisti, si apre con l’esposizione del Tema, derivato dall’episodio del Valzer, il primo ad essere composto, come racconta Stravinsky, al quale seguono cinque Variazioni; di queste, la prima funziona anche da preludio alle successive. Un solo del flauto introduce il movimento Finale dove Stravinsky si è ispirato alla purezza e alla costruzione delle “Invenzioni a due voci” di Bach, prima di affidarsi a speziature jazz nella coda conclusiva. Si proseguirà con il Nikolaj Kapustin Concerto per pianoforte n. 4 op. 56 compositore ucraino, molto noto proprio per la sua musica per pianoforte, detto anche il “Gershwin di Mosca” perché entrambi condividevano queste synthesis, da jazz sinfonico. Questo concerto nasconde un aneddoto. Quando Kapustin compose questo concerto, andò da un uomo di nome Boris Karamashiv. Era il direttore d’orchestra dell’orchestra dove Kapustin lavorava e dovette andare a casa di Boris per prendere fogli di musica vergini, perché non ne aveva, non essendo collegato ad alcuna collegato all’istituzione musicale. Seguirà l’ Ouverture Coriolano, in Do minore op. 62, composta nel 1807 da Ludwig Van Beethoven, quale introduzione al dramma omonimo di Heinrich-Joseph von Collin. Questa pagina è certamente una delle composizioni che meglio illustrano la straordinaria capacità beethoveniana di utilizzare il mezzo sinfonico quale veicolo ideale per esprimere l’essenza di un soggetto drammatico. Motivi concettualmente “significanti” combinati e sviluppati sul piano dell’opposizione dialettica vengono impiegati per sintetizzare la contrapposizione ideologica fra le aspirazioni individuali e la forza metafisica del destino che ispira il nucleo drammatico dell’azione teatrale, incentrato sulla rivolta eroica del guerriero Coriolano contro la sua stessa patria con i celebri violenti accordi iniziali che richiamano il climax della Quinta Sinfonia e il tentativo da parte delle sue donne di elevarlo nella sfera dei sentimenti nobili, con il dolce e consolatorio secondo tema in mi bemolle maggiore. Finale con uno dei concerti pianistici più eseguiti in tutto il mondo, celebre per la sua grandezza monumentale, ed è il più noto dei tre composti da Čajkovskij, ovvero quello in si bemolle minore, op. 23. Il concerto venne inizialmente dedicato a Nikolaj Rubinštejn, direttore del Conservatorio di Mosca e pianista virtuoso, con il proposito che lo stesso Rubinštejn lo eseguisse per la prima volta in pubblico. L’accoglienza di questi fu decisamente negativa: criticò aspramente il concerto ritenendolo “banale, rozzo e mal scritto” oltre che “ineseguibile”, e pertanto chiese al compositore una sostanziosa revisione che venisse incontro ai suoi gusti. Čajkovskij per tutta risposta si rifiutò di modificarne anche solo una nota, decidendo di dirottare la sua dedica su un altro grande interprete dell’epoca, il celebre pianista, direttore d’orchestra e compositore Bülow, che da parte sua definì l’opera “originale e nobile!”. Curiosamente von Bülow eliminò in seguito il concerto dal proprio repertorio, mentre Rubinštejn finì col dirigerne la première moscovita, con Sergej Ivanovič Taneev al piano, e ad eseguirne la parte solistica in numerose occasioni. Si apre con una introduzione (Allegro non troppo e molto maestoso), nel modo maggiore, lunga oltre cento battute e dominata da un tema ampio e perentorio che resta tra le invenzioni melodiche più geniali e popolari di tutta la musica ciaikovskiana. L’enfasi retorica irresistibile di questa idea introduttiva, che peraltro non si farà più sentire durante tutto il Concerto, sembra depauperare l’evidenza del vero primo tema nel seguente Allegro con spirito: una melodia scherzosa di carattere popolaresco che Čajkovskij, stando agli scritti del fratello Modest, avrebbe ascoltato al mercato di Kamenka. Comunque questa melodia appare di natura squisitamente strumentale e virtuosistica elaborata in un fitto dialogo con l’orchestra. La seconda sezione tematica (Poco meno mosso) si presenta con due diverse configurazioni melodiche in un’atmosfera più intima e sognante. Su questi elementi è incentrato il lungo sviluppo dove al virtuosismo spettacolare del pianoforte si contrappongono gli interventi coloristici di un’orchestra forse ancora trattata con mano un po’ pesante ma ricca di saporite invenzioni strumentali. Al termine della ripresa con la tradizionale cadenza del solista una coda elabora le figurazioni del secondo tema arricchite da fitti arabeschi pianistici fino a chiudersi con una cascata di ottave. Nel secondo movimento sembrano concentrate le caratteristiche proprie al tempo lento e allo Scherzo di una Sinfonia. Vi si alternano un Andantino semplice con carattere di raffinata Berceuse e un fantastico Prestissimo con rapide e leggere volatine del pianoforte. Sono queste le pagine emblematiche dell’originalità compositiva ciaikovskiana, della sua instabilità nevrotica, del suo decadentismo malato e affascinante. Il finale Allegro con fuoco è un Rondò costruito su due temi: il primo, una danza paesana ucraina arricchita da interessanti sfasature ritmiche, il secondo, più aperto e cantabile, al quale Čajkovskij affida la conclusione trionfante del Concerto. Uno sguardo complessivo al materiale tematico del Concerto in si bemolle minore e al suo impianto formale può sollevare accuse di scarso controllo stilistico, di eccessiva enfasi retorica, di esteriore sentimentalismo, ma sono proprio questi evidenti squilibri, lasciati da parte i paraocchi devianti di un improponibile rigore classico, a rivelare gli aspetti caratteristici del mondo di Čajkovskij: una smodata sincerità espressiva in bilico tra affermazioni perentorie e ripiegamenti pessimistici, col senso finale della contemplazione narcisistica delle proprie debolezze. E forse proprio qui deve essere cercato il suo messaggio più autentico e moderno.





