Questa sera alle ore 21,30 tra i templi di Paestum risuoneranno le note della terza sinfonia di Ludwig Van Beethoven, un triplo omaggio a Hevrin Khalaf, Khaled Al-Asaad, e al genio tedesco, nell’anno del 250° anniversario della nascita
Di OLGA CHIEFFI
“La Musica è il destriero cavalcato dall’Anima per viaggiare nel Tempo”, scrive Antonio Scotto. Questa frase racchiude quattro parole che scolpiscono l’essenza e i luoghi del concerto “Le vie dell’Amicizia” che Riccardo Muti e l’Orchestra “L.Cherubini” terranno questa sera alle ore 21,30 nel Parco Archeologico di Paestum. Sarà un concerto eroico quello di stasera: eroico, poichè si viene fuori da un periodo oscuro, fatto d’ombre e d’attesa, in cui la Musica, tutta ci ha unito, il destriero è icona inarrivabile di fierezza e sicurezza, di fiducia e coraggio, di cuore da gettare oltre ogni ostacolo, l’anima ci lega alla malinconia del ricordo di Hevrin Khalaf, giovane donna curda siriana, giornalista coraggiosa e libera, vittima di un barbaro agguato e dell’archeologo Khaled Al-Asaad, per decenni direttore dello straordinario sito di Palmira, vittima dell’Isis, a cui si era opposto a difesa della storia e dell’arte custodite in quel luogo, ora mutilato, e il tempo, rappresentato dalle pietre millenarie di Paestum e Palmira, che hanno resistito contro tutto e tutti e stasera saranno severe e serene protagoniste del racconto. Ieri sera, prove aperte, per poter offrire, anche a quanti non hanno potuto strappare un biglietto per il concerto di stasera, di godere del sogno che si dipana dalla Terza sinfonia in Mi Bemolle maggiore, op.55 di Ludwig Van Beethoven: eguaglianza, libertà, fraternità. Composta pensando alla figura di Napoleone Bonaparte, che per Beethoven, come per Hegel, incarnava lo spirito del tempo (uno spirito rivoluzionario, democratico), questa sinfonia è una celebrazione della storia come epos del presente. La narrazione avviene in modo non lineare, per flashback e fughe in avanti, e sembra concepita come un commento ad immagini invisibili, ma certo vivide nella mente degli ascoltatori. E infatti questa è forse la più “visuale” delle sinfonie di Beethoven: funziona quasi come una colonna sonora. È così dal primo movimento, quasi una sigla costruita intorno al motivo semplicissimo dell’attesa di qualcosa di grandioso, anche se, nello sviluppo, fa capolino – fuori dalla coppia di temi principali – un “tema” dolce, che sembra esprimere ciò che tutti in fondo ci si augura da una rivoluzione: quanto sarà felice, dopo, la vita, fino all’ultimo tempo, in cui al posto della forma-sonata viene adottata la forma delle variazioni: una successione in alternanza di quadri molto diversi, che fa di questo movimento un tentativo di conciliare, anziché una coppia, una pluralità di opposti – le tensioni e le contraddizioni di un’intera stagione storica. Nella Marcia funebre è da segnalare l’impiego di materiali elementari tratti da musiche pubbliche (marce, inni) concepite in Francia nel periodo rivoluzionario; tali elementi sono assorbiti in un contesto “alto”, messi in relazione con stilemi della musica d’arte fra i quali l’esoterica tecnica del fugato, mobilitata non però al fine d’un’astrazione rarefatta, bensì per drammatizzare il discorso musicale e condurre alla climax emotiva del movimento nel successivo straziante episodio a terzine. Una mancata elaborazione del lutto trova infine voce nell’impressionante congedo, dove il tema della marcia funebre è letteralmente frantumato, ad esprimere una prostrazione annichilita, senza ricomposizione. I richiami a Virgilio e a Omero non sono casuali perché l’Eroica fu definita dal Rolland “l’Iliade dell’Impero”, con tutte le implicazioni al mito napoleonico colto al vertice dell’ascesa e nella decomposizione dell’epicedio funebre. Nel Finale (Allegro molto), edificato attraverso la variazione di un tema innocuo preso dal balletto Le creature di Prometeo, trova spazio anche un sublime intermezzo (Andante); poi, prima della ricapitolazione (Presto), torna la rimembranza della marcia funebre. “L’eroe costa molte lacrime – ricordava Berlioz – dopo questi ultimi rimpianti offerti alla sua memoria, il poeta lascia l’elegia per intonare con trasporto l’inno della gloria”.