La storia inaspettata di un ex cavallo da corsa che apre la porte della cultura equestre ad un giovane completista italiano, di nome Paolo Giani Margi.
Di Giulia Iannone
Come entra nella tua vita equestre il purosangue di nome Tornilo?
“Ho iniziato a montare a cavallo nel 1968. Avevo 9 anni. Nel giro di due o tre anni, dopo aver frequentato le lezioni della scuola, ho cominciato nella storica e famosa sede della Società Ippica “Le Querce”, che ha prodotto grandi nomi nella tradizione equestre italiana. Dai fratelli Roman, ad Anna Casagrande a Marina Sciocchetti giusto per citarne qualcuno. A Casorate Sempione, il mio Maestro era “papà” Antonio Roman. Quindi, nasco a livello equestre insieme a Mauro e Federico Roman. Partecipo ad un paio di Saggi delle Scuole, chiudendo sempre con buonissimi risultati, poi intorno agli anni 1970-71, mio padre decise di regalarmi un cavallo. Si chiamava “Tornilo”, un purosangue inglese, nato ed allevato in Irlanda, un cavallo ritirato dalle corse. Questo purosangue aveva corso in pista per Graziano Mancinelli, allora grande amico di Kuka Roaldi che è stata uno dei primi fantini donna del mondo del galoppo. All’ inizio ci furono alcuni problemi per effettuare la conversione dalla precedente attività sportiva. Con grande aiuto e supporto della migliore tradizione del completo della società Ippica Le Querce, mi affacciai nel mondo vero del completo e, già nel 1973, cinque anni dopo il mio esordio in ambito equestre, senza avere alle spalle alcuna storia familiare, primo di casa in questo sport, affrontai i miei primi Campionati Europei da Junior. Riportai una medaglia di bronzo ai campionati italiani di completo, disputati ai Pratoni del Vivaro. Ho partecipato anche a ben due campionati europei, uno in Germania e uno a Vittel, in Francia.”
Gli inizi con questo ex cavallo da corsa, come sono stati?
“Si tratta di un cavallo che mi ha dato grandi soddisfazioni. Abbiamo attraversato una fase iniziale un po’ difficile, come tutti i cavalli presi dalle corse, perché ho dovuto un po’ rilassarlo, anche dal punto di vista fisico, e disintossicarlo da quel tipo di attività, però, poi, ne è risultato un cavallo, che pur non essendo di qualità così superiore, mi ha dato moltissime gratificazioni, è stato un soggetto che nella fase giovanile, fase importante per la formazione non solo tecnica ma anche interiore e concettuale del cavaliere che sarei diventato, ha rappresentato la pietra miliare della mia base equestre. Mi ha aiutato a conoscere e venire a contatto con numerosi trainer, come il Maestro Roman, Franke Witt preparatore di numerosi binomi in Italia per la disciplina del completo, Paolo Angioni che mi ha preparato al campionato europeo, grandissimo tecnico e professionista, al quale devo un approccio più consapevole e colto sul cavallo, che in fondo non avevo mai considerato; Giuseppe Ravano, componente della mitica squadra, oro olimpico a Tokyo 1964, rappresenta ancora un altro incontro e aiuto tecnico. Questo piccolo sauro irlandese, ha il merito di avermi aperto una finestra sul mondo della cultura equestre, presentandomi questi pilastri dell’equitazione, ormai entrati nella nostra storia. E così, a 14 anni, mi affacciavo ai miei primi Campionati Europei, e soprattutto venivo proiettato nel mondo internazionale del completo”.
Che tipo era questo sauro Tornilo?
“Sauro, piccolo ma quadrato, leggermente camuso. Questo cavallo presentava le linee e le fattezze classiche del purosangue e dalla mia parte potevo contare sulla sua agilità, elasticità, leggerezza e velocità. Col lavoro e la dedizione, eravamo riusciti a creare una bella muscolatura del collo ed anche un bellissimo feeling emotivo. Il primo giorno nella prova di addestramento, faceva in rettangolo, una bella figura, perché potevamo esprimere precisione, puntualità, ordine, un bel contatto pulito. Riusciva, poi, a mantenere bene il punteggio, il secondo giorno, durante la prova di campagna, dove ancora in quel periodo esistevano gli abbuoni, ovvero c’era la possibilità di avere un tempo nel quale si riusciva ad ottenere qualche “abbuono”, abbassamento delle penalità negative, ottenute il primo giorno. Quindi riuscivo quasi sempre a galoppare netto nel tempo. “
Puoi raccontare qualche episodio che ricordi con emozione?
“Ero ai miei terzi campionati italiani di completo. Avevo già in bacheca una medaglia di bronzo. Quell’anno, ero primo dopo la fase di addestramento, purtroppo al terzo salto, mi si è sganciato uno staffile, quindi, ho dovuto affrontare tutta la prova di campagna, senza staffe. Certo, questo non mi ha dato poi la possibilità di vincere la medaglia d’oro, perché ho dovuto andare logicamente un po’ più piano, e ho preso delle penalità sul tempo e perso la medaglia agognata. Ma il mio ricordo è legato, invece, allo stato di fiducia e confidenza ed unione con il mio purosangue, del quale mi fidavo in maniera intensa e con il quale si era istaurata una intesa speciale, che lambisce la vera e propria amicizia. Ancora ricordo con fatica, che prima dei campionati europei in Germania, ho dovuto montarlo un mese e mezzo a pelo: si era fiaccato, avendo un garrese molto pronunciato. Ho dovuto fare buona parte della preparazione degli Europei – che allora erano con 4 fasi marcia, steeple, marcia e cross – senza sella: facevo delle ore di trottate in campagna a pelo, pur di non interrompere la preparazione di fiato. Ho imparato a montare quel cavallo, in ogni condizione. Questo esercizio mi è servito molto per il mio futuro di cavaliere professionista”.
Tu gareggiavi e ti scontravi contro cavalli di altissima qualità, come vivevi questa discrepanza e differenza, che non era sicuramente tecnica?
“Allora era molto giovane, quindi forse non mi accorgevo o non tenevo conto di questo tipo di realtà. Cercavo di dare solo il meglio di me stesso, di impegnarmi in maniera seria e concentrata. Ero molto affascinato e catturato dal mondo del completo nel quale ero immerso, dall’eccellenza tecnica e spirituale che avevo intorno, specialmente in termini di istruttori e riferimenti equestri di così alto respiro. Credevo che il mio cavallo fosse il migliore del mondo, essendo in quella fase dell’adolescenza in cui ci si crede e sente invincibili. Riuscire anche a fare meglio di questi binomi importanti e di alto livello, rappresentava sicuramente una motivazione imponente”.
A distanza di anni, cosa ti ha lasciato questo cavallo, in termini di bagaglio culturale, sensazioni ed emozioni?
“Indubbiamente credo mi abbia lasciato il concetto di una grandissima amicizia con un partner a quattro gambe, in termini di compagno fedele ed insostituibile. Un valore ed una sensazione che serberò per tutta la mia vita. E’ stato uno dei miei primi veri compagni con il quale formare una squadra, per raggiungere e condividere un obiettivo. E’ stato sempre con me, anche alla fine. Solo verso gli anni ’88-’92, quando ero preso con le gare internazionali, che mi portavano spesso all’estero, l’ho vissuto un pochino meno, ma c’era mio padre, ed ero tranquillo, perché era come fosse con me. Di amici sinceri nella vita, non se ne trovano così tanti e duraturi, penso che Tornilo, sia quello che più mi abbia manifestato la sua fedeltà e sincerità. Mi ha insegnato, che per ottenere dei risultati, nella vita, non solo nello sport, bisogna sacrificarsi molto e fare tanta fatica”.
Il tuo primo cavallo è stato il dono di tuo padre. Quindi esiste un fil rouge che li unisce per sempre?
“Mio padre, Anastasio, ha comprato questo cavallo purosangue, con grande sforzo economico. È stato un dono di un genitore amorevole e premuroso, ma soprattutto una green card per proiettarmi verso la mia esistenza futura. Papà è il mio primo, vero fan, il mio grande riflesso in questa vita, che mi ha seguito , poi, in tutto. Ed è stato colui che dopo si è occupato da vicino della vita e della pensione di Tornilo. Quando ho ritirato il cavallo dalle competizioni, non ho più potuto seguirlo, era al prato dove è stato felice, contento e sereno ed ha finito la sua vita all’età di 29 anni. Il cavallo era nato nel 1963 ed ho iniziato a montarlo quando ne aveva 8. E’ morto due giorni prima della mia entrata in campo, alle Olimpiadi di Barcellona, nel 1992. In quegli anni, ero diventato un dressagista, e rappresentavo il nostro paese, nella disciplina del dressage.”
Nella tua carriera successiva di dressagista, hai avuto come cavallo di punta, in maniera insolita, proprio un purosangue, il famoso Destino di Acciarella. Credi che Tornilo ti abbia preparato a questo cavallo con cui hai affrontato, in seguito, due Olimpiadi?
“Non c’è dubbio. I purosangue sono tra i cavalli più qualitativi di tutti, sensibili, rapidi, intelligenti, elastici, duttili, e soprattutto hanno molto cuore, molta voglia di fare e di vincere”.