La guerra cantata de’ “La Fille du Régiment” - Le Cronache
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La guerra cantata de’ “La Fille du Régiment”

La guerra cantata de’ “La Fille du Régiment”

Questa sera alle ore 21, l’opera donizettiana inaugurerà la stagione lirico concertistica, con una mise en scene molto particolare e le voci di Gilda Fiume e Shalva Mukeria

 Di OLGA CHIEFFI

La fille du Régiment è una piacevolissima partitura che Gaetano Donizetti scrisse per l’ Opéra-comique di Parigi nel 1840. Sarà proprio questo titolo che stasera alle ore 21, inaugurerà la nuova stagione lirica del Massimo cittadino, salutando in scena diversi debuttanti, a cominciare dal regista Riccardo Canessa e dalla protagonista Gilda Fiume, che si calerà nei panni della protofemminista Marie. Una guerra cantata, che sarà diretta da Antonello Allemandi, alla testa dell’Orchestra Filarmonica Salernitana, in cui i soldatacci si trasformano in marinai sviluppando istinti paterni intorno alla trovatella Marie, abbandonandosi a cori e alcool, una volta messo piede a terra alla ricerca di una donnina allegra. Una bella guerra pochissimo cruenta, in cui perfino l’ inno del Reggimento acquista le volute del valzer. Naturalmente si scopre che Marie non è affatto una trovatella ma la figlia di una marchesa di Berckenfeld, che avrà la voce di Claudia Marchi, che nella visione canessiana è la padrona di un grande circo. Viene quindi strappata al capitano Sulpice, personaggio che riporta sul palcoscenico del Verdi il basso-bariton Filippo Morace, e al suo equipaggio, per essere educata alla danza e al canto, ma il suo cuore resta legato alla allegra ciurmaglia, alle maniere rudi e forti dei marinai, e a un certo Tonio, che avrà la voce e l’acuto di Shalva Mukeria, un tontolone che l’ama. Marie impara alla meno peggio le buone maniere e viene promessa addirittura a un duchino che vanta quarti di nobiltà. Ma il matrimonio sarà scongiurato dalla marchesa e Marie potrà andare sposa all’ amato giovane non blasonato. Il libretto è dovuto a J.F.Bayard e V. de Saint-Georges molto brillante immaginiamo si sia prestato alla vena originale teatrale che possediamo forte a Napoli, a cominciare da Hortensius (Claudio Levantino) il lacchè della Marchesa, nello sciorinare i nomi degli ospiti della cerimonia nuziale, dimostrando che come si rideva ieri, si ride ancora oggi. Una vicenda garbata e scorrevole, narrata bene, che tra arie brillanti, arie patetiche, insiemi, momenti parlati (come usava all’ opéra-comique, che saranno qui ridotti all’ osso), cori, intratterrà abilmente la platea cittadina. Donizetti aveva una vena comica (I pazzi per progetto ne è l’ attestazione massima), anche se spesso la stemperava in partiture di sfumata elegia (Elisir d’ amore, Don Pasquale), accontentando tutti: i cultori della farsa, quelli dell’ opera buffa e anche quelli della commedia larmoyante. La destinazione al teatro parigino non manca di incidere sulla musica, che si veste di eleganti tinte francesi, si fa spesso vaporosa, non cadendo mai nella faciloneria, che qui troverà due scenari il porto e il circo schizzati da Flavio Arbetti. Vi incontriamo i personaggi comici della tradizione italiana del bass-bariton, come Sulpice o altrettanto tradizionali del teatro francese come il ruolo della Duchessa, che sarà Giulia Sensati, mentre a completare il cast ci saranno Nicola Ciancio, nei panni di un uffiziale di marina, Paolo Gloriante, un paesano e un musico, il pianista Maurizio Iaccarino. Scena madre sarà la lezione di canto del secondo atto, in cui la Marquise, da un lato tenta di inculcare nella nipote l’arte della canzone sentimentale francese perfezionata da Pierre Garat, mentre dall’altro Sulpice continua a ricordare alla figlia i canti militari che avevano rallegrato le loro traversate, fino a quando Marie da una parte richiamata all’air de salon dall’altra dall’invito di Sulpice ad unirsi ai canti militareschi, esonda in un profluvio di scale e arpeggi , prima di lanciarsi in un Rataplan, chiaro sfruttamento in chiave comica del canto di coloratura, pieno di contrasti netti di ritmo e tempo, intimamente integrato nell’intreccio, molto più della lezione del Barbiere rossiniano. Marie riconosce il suo reggimento e intona “Salut à la France”, una cabaletta che, durante il Secondo Impero, in Francia diventò quasi un inno nazionale non ufficiale. I soldati irrompono in scena, Marie e Tonio sono riuniti e con Sulpice cantano un festoso terzetto che sembra anticipare le melodie spumeggianti di Offenbach “Tous les trois réunis. Nonostante le proteste della marchesa, Tonio dichiara di non poter vivere senza Marie. L’aria di Tonio, che prima era andato sulle stelle con “Ah, mes amis, quel jour de fete”, e i suoi nove do di petto, “Pour me rapprocher de Marie”, è una romance in due strofe, di cui la seconda è sottilmente variata rispetto alla prima. La marchesa, a questo punto, è costretta a svelare il suo segreto: è lei la madre di Marie, e intende far sposare la sua figlia illegittima al duca di Krakenthorp per assicurarle un avvenire onorato. Marie accetta di ubbidire, ma la cerimonia è interrotta dai soldati, guidati da Tonio, che scandalizzano i nobili invitati. La marchesa acconsente al matrimonio di Marie con Tonio, per non sacrificare la felicità della figlia, con l’opera si chiude con una felice ripresa di “Salut à la France”.