Erika Noschese
Rischiano il processo i membri del Consiglio d’amministrazione delle Pisano, l’ex dirigente regionale del settore Ambiente Setaro ed il consulente tecnico. I Pm Polito e Guarriello hanno chiesto il rinvio a giudizio per tutti gli indagati. La famiglia Pisano dovrà rispondere di reati ambientali mentre Setaro, responsabile della concessione dell’Aia nel 2012, ed il consulente tecnico dovranno rispondere di reati contro la pubblica amministrazione. L’udienza preliminare è fissata per il prossimo 3 ottobre dinanzi al Gup Zambrano mentre il 12 ottobre, in Cassazione, si discuterà il ricorso presentato dalla Procura di Salerno contro il dissequestro dell’impianto. Intanto, ad annunciare battaglia è anche il Codacons di Salerno che si è detto soddisfatto dopo la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dei membri della famiglia Pisano che, a vario titolo, dovranno rispondere dell’accusa di inquinamento ambientale. La Procura di Salerno, infatti, dopo anni di battaglie sostenute dal Codacons di Salerno, attraverso l’avvocato Matteo Marchetti, si è avviata alla conclusione delle indagini ipotizzando il reato di inquinamento e disastro ambientale. “Dopo tante nostre denunce, segnalazioni e tanto tanto lavoro – aveva detto l’Avv. Matteo Marchetti vice segretario nazionale – siamo molto soddisfatti, si aprirà finalmente un processo che speriamo faccia luce su tutta la vicenda e chiarisca una volta per tutte le responsabilità in relazione ai reati rubricati nella richiesta di rinvio a giudizio, pertanto rinnoviamo l’invito agli abitanti di Salerno e comuni limitrofi ad inserirsi già in questa fase per ottenere il risarcimento dei danni morali e materiali nei confronti di chi ha inquinato ma anche di chi ha taciuto, di chi ha falsificato gli atti o di chi ha omesso di fare il proprio dovere”. «Un plauso alla procura della Repubblica di Salerno che ha dimostrato di avere a cuore la salute dei cittadini del capoluogo e dei Comuni della Valle dell’Irno”, aveva dichiarato l’avvocato Marchetti nei gorni scorsi, dopo la notizia della richiesta di rinvio a giudizio per la lamiglia Pisano. Il Codacons, infatti, come parte offesa, aveva presentato innumerevoli denunce, ha fatto moltissime segnalazioni nel corso di questi anni vista la grave situazione di inquinamento subita dagli abitanti di Salerno e della Valle dell’Irno che per decenni hanno convissuto e purtroppo stanno ancora convivendo con le fonderie Pisano. Qualora dovesse essere accertato il reato di disastro ambientale, che renderebbe il ripristino della zona irreversibile. Ad aggravare la posizione degli imputati, qualora il Tribunale dovesse dar ragione al Codacon è l’area scelta: il parco della Valle dell’Irno, infatti, è un’area protetta. Per Antonio Setaro, il pm Polito ha ipotizzato la violazione delle norme di legge dopo la concessione dell’Aia, nel 2012, procurando un ingiusto vantaggio patrimoniale, illeggittimo perché fondato su documenti contenenti false attestazioni. Alla famiglia Pisano, viene contestato, invece, lo scarico di acque reflue industriali che confluivano nel fiume Irno e lo scarico industriale nel tratto del fiume Irno, compreso tra il parco urbano e la Zona di Protezione Speciale ed il Sito di Importanza Comunitaria. L’ipotesi d’accusa di inquinamento ambientale è stata avanzata in seguito all’accertamento dello smaltimento illecito di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, non risultando tracciabili gli smaltimenti di emulsioni oleose prodotte dal dilavamento dei piazzali, polveri e particolato. Dunque, per i pm si potrebbe procedere in virtà di un danneggiamento di beni pubblici, con l’inquinamento ambientale dell’acqua – per quanto riguarda il fiume Irno – e dell’aria. Il Codacon sembra intenzionato a procedere anche contro l’Arpac di Salerno che non avrebbe effettuato i dovuti controlli, garantendo di fatto il rispetto delle Bat, nonostante i numerosi solleciti. Intanto, dal sopralluogo effettuato nel mese di luglio dall’agenzia regionale per la protezione ambientale è risultato che i Pisano hanno ottemperato soltanto in parte a quelle che erano le prescrizioni da adottare per ottenere l’autorizzazione integrata ambientale. Le “Bat” ovvero le migliori tecnologie per il contrasto all’inquinamento sono state infatti soltanto “parzialmente ottemperate” come si legge nella relazione stilata dai dirigenti e dai tecnici dell’Organo di controllo. Inquinamento dentro e in parte anche fuori per quanto riguarda quello delle emissioni in aria dei gas e vapori dovuti alla produzione di ghisa: l’Arpac infatti – secondo il verbale stilato durante la “visita” di luglio – ritiene che l’azienda non ha posto in essere tutte le ottemperanze per scongiurare l’emissione di diossina durante la lavorazione del prodotto. È emerso inoltre che a prescindere dall’inquinamento esterno infatti, non ha eliminato quelle criticità all’interno dei luoghi di lavoro.