Di Marco Alfano
Questa intervista, inedita, risale all’estate 2016, destinata ad un libro in corso di pubblicazione dedicato ai 50 anni della Ceramica Salernitana di Giffoni, diretta da Vittorio de Pasquale, anche lui da poco scomparso. In occasione della preparazione del volume, avevo chiesto a Mario Carotenuto una conversazione sul suo rapporto con la ceramica: era l’ultima testimonianza di un’ulteriore sfida nei confronti di una tecnica difficile, appresa nei laboratori di Vietri sul Mare. Ringrazio l’editore, Andrea De Luca, che ha voluto concedere la pubblicazione di questi estratti.
Maestro Carotenuto, prima di parlare della ceramica, mi piacerebbe partire da alcuni ricordi della sua formazione giovanile.
Sono nato a Tramonti, in Costiera Amalfitana. Subito dopo il Liceo ho frequentato l’Accademia di Belle Arti di Napoli, e tra i miei insegnanti ci sono stati Emilio Notte e Vincenzo Ciardo. […] Ho avuto in seguito altri incontri importanti nella mia vita: Filiberto Menna, Vasco Pratolini, Paolo Ricci sono personalità che mi hanno consentito di uscire da una visione “provinciale”. Sono stato sempre una persona molto curiosa, ho studiato gli artisti che amavo, da Pontormo a Van Gogh; di Proust ho letto tutto ciò che si poteva leggere […]. L’attività di pittore è cominciata dagli anni Quaranta, quando partecipai alle prime mostre; nel 1945 vinsi a Napoli il Premio Forti, un concorso dedicato ai giovani artisti. Sono sempre stato un pittore della forma, per me nella forma c’è tutto; le mie preferenze sono andate sempre al figurativo. Ricordo che una volta Filiberto Menna, che più volte è venuto a trovarmi nel mio studio, mi disse che non dovevo cambiare; è stato tra i pochi che mi consigliava di rimanere fedele a me stesso.
Come si è avvicinato alla ceramica?
Sono stati diversi i tentativi con la ceramica, ho iniziato presso la Ceramica Costa, poi alle Tre Felci, soprattutto presso Romolo Apicella a Vietri sul Mare; inoltre frequentavo Alfredo della Monica, che era in contatto con Vittorio de Pasquale della Ceramica Salernitana. Mi sono avvicinato alla ceramica grazie agli innumerevoli amici che la praticavano ma soprattutto perché risultava per me essere una valida alternativa alla pittura, quando questa diventava opprimente, stancante.
In che modo un “pittore della forma” intende la ceramica?
Innanzitutto c’è una grande differenza con la pittura. Penso di poter parlare in linea generale, quando noi pittori ci avviciniamo alla ceramica continuiamo ad avere prevalentemente un approccio pittorico: la invadiamo con la nostra pittura, mentre parlare di ceramica significa parlare di tutte le sue fasi, dalla foggiatura, di cui non mi sono mai interessato, alla decorazione. […]
Come sceglieva i soggetti? Molte immagini passano dalla pittura alla ceramica, ce ne sono alcune che ricorrono come quella dei fiori, delle farfalle.
A questo repertorio di immagini sono giunto dopo un attento studio dei motivi della pittura fiamminga e dei primissimi dipinti del Caravaggio. Ho notato che ricorrevano le immagini delle farfalle; mi sono innamorato di questi soggetti anche per tutta una letteratura che nasceva attorno, per il loro significato filosofico sulla caducità della vita, della vanità della gloria terrena. Ho usato questi soggetti rendendola quasi una mia cifra stilistica, sia in pittura che in ceramica. […]
Nelle sue ceramiche si riscontrano superfici molto differenti tra loro, sono frutto di sperimentazioni?
La ceramica ti porta inevitabilmente alla sperimentazione, basti pensare all’utilizzo dei colori, a come e quanto questi cambino in cottura; per un pittore tutto ciò è qualcosa di nuovo, quindi all’inizio si fanno delle prove e man mano si acquisisce la tecnica. La ceramica mi permetteva inoltre di utilizzare smalti differenti così da ottenere risultati estetici differenti, così ci sono alcune superfici lisce e brillanti, altre più scabre ed opache, anche se la mia predilezione era per quelle meno lucide.
Secondo lei la ceramica può essere considerata un genere inferiore alla pittura, cosa ne pensa un pittore?
Dovrei rispondere di sì; senza dubbio, la ceramica è per sua natura una tecnica più artigianale, ma è pur vero che dipende dall’artista; ci sono ceramisti che hanno fatto opere bellissime al pari della pittura. Guido Gambone e Salvatore Procida sono degli artisti completi, degli autentici geni naturali. A me piace moltissimo l’antica ceramica della tradizione vietrese, quella che si realizzava prima dell’influenza degli artisti tedeschi, quando la ceramica era in una sua fase popolare e i motivi ricorrenti erano innanzitutto limoni e animali. Sicuramente Richard Doelker, Irene Kowaliska hanno contribuito all’affermazione e internazionalizzazione della ceramica del nostro territorio, con un’apertura che non ci apparteneva, ma credo che questo l’abbia privata di alcuni aspetti, forse i più autentici ed originali.
Marco Alfano (critico d’arte)