Pina Ferro
Crac Fonditori, il Riesame dispone il sequestro di oltre quattro milioni di euro in beni appartenenti a 10 dei 38 indagati. La decisione dei giudici è stata depositata nel tardo pomeriggio di ieri. All’origne del crac di “Fonditori Salerno” c’è secondo la Procura un giro di 80 milioni di fatture fittizie. Un meccanismo circolare fatto di società cartiere e di altre “collaboratrici”, che simulavano ordinativi e forniture al solo scopo – accusano gli inquirenti – di ottenere anticipazioni bancarie e sottrarre fondi alle casse societarie. Nel dettaglio i giudici del Riesame hanno disposto il sequestro di beni a carico di: Serafino Giunta 1.902.169 euro; Giuseppe Raimo 1.083.350 euro; (entrambi succedutisi alla presidenza del consiglio d’amministrazione della Fonditori),Gabriele Langella 60.000 euro; Antonella Langella 36.000 euro (i due imprenditori sono accusati di avere creato una rete di aziende “cartiere”, in realtà inattive e volte solo a emettere e ricevere fatture per operazioni mai fatte); Lucia Palanca 330.00 euro; Pellegrino Barbato 983.411 euro (commercialista, ora amministratore unico della municipalizzata Salerno Pulita e indagato in qualità di consulente della Fonditori); Giosuè Ventura 45,000 euro; Maurizio Venura 21.000 euro; (presunti complici nelle fatturazioni fittizie); Ortensio Ventura 12.000 euro; Salvatore Ciancia 196.000 euro. Respinte, invece, tutte le altre richieste. L’inchiesta sul crac dei Fonditori è stata aperta dal sostituto procuratore Vittorio Santoro che ha iscritto 38 persone, tra ex amministratori della società, imprenditori “amici” e consulenti contabili sul registro degli indagati. I dieci soggetti per i quali è stata accolta la richiesta della Procura di sequestro dei beni sono accusati di aver tirato le fila del raggiro, costituendo un’associazione a delinquere finalizzata a reati tributari, bancarotta e truffa agli istituti di credito. Ai dieci per i quali è stato disposto il sequestro dei beni si aggiungono nell’inchiesta i consulenti, che avrebbero incassato centinaia di migliaia di euro quando l’azienda era già sull’orlo del baratro. Nella lista figurano tra gli altri due rappresentanti di una società milanese di advisory e il salernitano Bruno Bisogno, estensore nel 2013 di un concordato che gli inquirenti definiscono “in bianco” e che non sortì alcun effetto.