Questa sera alle ore 21 il teatro Diana ospiterà la lettura scenica di Porno-Teo-Kolossal, l’ultima opera di Pasolini
Di Olga Chieffi
Nel neo-nato spazio teatrale dell’ex-cinema Diana, per il quale esiste una proposta di dedica a Pier Paolo Pasolini, questa sera, alle ore 21, i riflettori si accenderanno su Anna Bonaiuto, protagonista di una lettura scenica di Porno-Teo-Kolossal scritto dal poeta friulano per Eduardo De Filippo e Ninetto Davoli, affidato alla regia di Francesco Saponaro, ospite del cartellone di Casa del Contemporaneo. Nei mesi successivi alle riprese di Salò, aveva realizzato per esteso con l’inseparabile Sergio Citti, il trattamento del suo “film sull’Ideologia”. L’iniziale progetto del viaggio del “Re Magio” e del suo servitore, dietro la Cometa dell’Utopia Ideologica, sarebbe stato però filtrato dall’orrore del suo ultimo film, da quello stesso estremismo, rivisitato in chiave ironica e aneddotica; avrebbe avuto i volti di Ninetto Davoli ed Eduardo de Filippo come protagonisti; e si sarebbe intitolato, con emblematica ironia, “Porno-Teo-Kolossal”. Come Uccellacci e Uccellini, il film sarebbe stato un viaggio picaresco, ambientato in una ipotetica Italia degli Anni Cinquanta, compiuto dal Re Magio napoletano Epifanio e dal suo servo romano Nunzio, i quali partendo da Napoli, seguono il cammino di una nuova Cometa, che li condurrà al Nuovo Messia.
La ragione del pellegrinaggio della coppia servo-padrone (anziché di quella padre-figlio) riposa dunque su una speranza di carattere religioso (l’avvento del Salvatore) e non più su una delusione di natura politica (la fine del marxismo), tanto che il “viaggio” attraverso tre città-metafora con una destinazione finale in Oriente si trasforma nella presa di coscienza di una “realtà” che coincide con la fine di ogni utopia. Ciò che risulta più significativo, comunque, è il fatto che per raccontare una storia di forte impianto ideologico-simbolico, in cui vengono contaminati generi diversi (la fiaba magica, il racconto picaresco, il racconto erotico, l’apologo biblico), Pasolini adotta quasi esclusivamente il linguaggio del corpo, sviluppandone tutti gli aspetti relativi alla sessualità: dal ciclo divieto-trasgressione-punizione al rapporto tra permessività e comprensione o tra intolleranza e repressione, dalla scoperta dell’erotismo omofilo o eterofilo alla correzione esemplare oppure all’esecuzione capitale, dallo scandalo per la violazione del divieto alla più efferata violenza fallocratica. Le città sono, Sodoma, ispirata alla Roma degli anni Cinquanta, ma nella quale l’amore omosessuale è ritenuto normale, mentre quello eterosessuale è soltanto tollerato; Gomorra, ispirata alla Milano degli anni settanta, dove esplodono la violenza stragista e la criminalità comune, e nella quale è ammesso soltanto l’amore eterosessuale, mentre quello omosessuale è barbaramente perseguitato e Numanzia, una Parigi utopica, nella quale un socialismo democratico e libertario è pienamente realizzato, ma che soccombe all’assedio di un esercito neonazista, tanto che i suoi abitanti decidono, attraverso un referendum, di suicidarsi in massa. Il conflitto, sotteso a tutti gli episodi, è fra l’amore, anche e soprattutto carnale, spesso refrattario alle norme sociali sia della tollerante Sodoma sia dell’intollerante Gomorra e la violenza, che insorge spesso misteriosamente e finisce per prevalere, generando distruzione e caos. Il Re Mago attraversa questi scenari apocalittici, forte della fede nel Messia, che dovrà portare agli uomini “felicità, ordine, bontà e fraternità”. Ma quando giunge, quasi al termine del suo viaggio, un altro napoletano lo deruba del dono per il bambinello, che si scoprirà essere un presepe immaginifico. Quando la cometa finalmente si posa, con la sua luce accecante, illumina una grotta vuota. Tutto intorno, “polvere, sassi, le tracce di un fuoco di beduini, qualche cagata secca”. Spunta un ragazzino arabo che informa i pellegrini che il Messia è nato lì, ma ormai è morto, ed è stato dimenticato. Disperato, Epifanio muore. Ma Nunzio si trasforma in un angelo e lo porta con sé attraverso il cielo. Nel cielo, però, Nunzio non trova più il paradiso. Solo un tremendo buco nero, dal quale si intravvede, brutta e goffa, in lontananza, la terra. I due si fermano stremati, ed Epifanio commenta, guardando la Terra: “Come tutte le Comete, anche la Cometa che ho seguito io è stata una stronzata. Ma senza quella stronzata, Terra, non ti avrei conosciuto…..” Dalla Terra giunge il suono di canti rivoluzionari. Epifanio si commuove. Poi, nel silenzio cosmico, Nunzio chiude il copione beckettianamente: “Embè, Sor Epifà, nun esiste la fine. Aspettamo. Quarche cosa succederà”. L’unico modo per “comprendere” (nel doppio senso di capire e di contenere) il dramma dell’uomo – ovvero il fallimento dell’utopia – è quello di osservarlo a una certa distanza, da un’ottica soggettiva, ma allo stesso tempo universale, che possa abbracciare l’umano dibattersi (“le voci e i rumori della vita quotidiana”) attraverso un malinconico e disilluso sguardo cosmico.