L’iperbolico trombone di Vincenzo Turriziani - Le Cronache Spettacolo e Cultura
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L’iperbolico trombone di Vincenzo Turriziani

L’iperbolico trombone di Vincenzo Turriziani
Di Olga Chieffi
Il prestigioso Teatro alla Scala ospita oggi alle ore 17.00 il concerto della Banda Musicale dell’Aeronautica Militare “100 anni a Milano”, evento inserito nel programma ufficiale delle celebrazioni per il centenario della presenza della Forza Armata nel capoluogo lombardo, insediatasi nel 1925 con la costituzione del primo comando aeronautico in città. Il repertorio proposto unisce tradizione e innovazione, spaziando dalle più celebri marce militari ai brani sinfonici e contemporanei, in un percorso musicale che vuole celebrare il profondo legame tra Aeronautica Militare, Milano e il territorio lombardo. In questo evento tanta scuola salernitana sul palcoscenico scaligero a cominciare Nicola Ferro del quale verrà eseguito Reason, un pezzo, nato nel buen retiro di Caprioli, che racchiude quell’infinità di tracce raccolte senza il beneficio d’inventario che è la giusta definizione sonora per il Mare Nostrum, sino al Maestro della formazione Maggiore Pantaleo Leonfranco Cammarano, cilentano e a diverse sue prime parti. Solista della serata un trombone d’eccezione, Vincenzo Turriziani, oggi prima parte dei leggendari Wiener Philarmoniker, che eseguirà oltre alla pagina di Ferro, il concerto per trombone di Nino Rota, datato 1966.
Maestro, Lei ha scelto il trombone o il trombone ha scelto Lei?
“All’inizio il trombone ha scelto me, mio padre Maurizio è trombonista amatore e mio nonno Giacomo era un professionista e insegnante di musica, nonché maestro della banda di Poggio Mirteto, il mio paese. Il trombone è stato per tanti anni il mio giocattolo preferito. Quando sono cresciuto mi sono innamorato di questo strumento, del suono caldo e morbido, dalla grande somiglianza con la voce umana. Grande la sua duttilità caratteriale, uno strumento che può essere dolcissimo, ma anche eroico e drammatico”.
Quali i suoi inizi? Chi l’ha scoperta e il suo primo debutto importante
“Ho iniziato con la banda del mio paese, Poggio Mirteto. A 13 anni ero indeciso se studiare da chef o la musica. Consapevole del fatto che in Italia e nel mondo ci sono più ristoranti che sale da concerto ho deciso di andare contro corrente. Ho studiato al conservatorio G.Briccialdi di Terni, 3 mesi dopo il diploma ho vinto la mia prima audizione all’Orchestra Sinfonica di Roma. Nel 2011 ho vinto da primo trombone all’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, nel 2014 ho vinto da primo trombone dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia”.
Quindi, il super exploit austriaco, alla corte del Wiener
“Nel 2016 ero in tour con S.Cecilia ed incontrai un Philharmoniker, amico del mio collega e maestro Andrea Conti, mi disse: “Giovanotto, qui stiamo cercando un primo trombone, abbiamo bisogno di un giovane che abbia voglia di suonare”. Da lì ho incominciato a pensarci, una riflessione che mi ha portato a capire che non sono fatto per le scelte facili e comode (l’arte ama il rischio(n.d.r.). Avevo 26 anni ed ero nella migliore orchestra sinfonica italiana e a casa, direi “in pantofole” anche se su una sedia di primo trombone non direi che si sta in pantofole. A quel punto ho deciso di affrontare il difficile concorso vincendolo. Quindi, dalle “pantofole” sono partito in Alfa Romeo verso il mio sogno, cambiando vita, città, orchestra, amici, lingua, cibo e cultura”.
Dietro un grande artista c’è sempre un pari maestro. Quali i suoi e a quali grandi interpetri si ispira?
“Direi che ci sono state tre figure importanti nel mio percorso di studi in tre macro fasi. Max Costanzi, maestro del conservatorio che è stato capace di farmi amare la musica, il trombone, inseguire i miei sogni e crederci sempre, senza di lui non ci sarebbero stati i due seguenti. Andrea Conti, maestro ed ex collega primo trombone di S. Cecilia, il quale mi ha dato basi solide come strumentista e mi ha insegnato un modus vivendi che mi ritrovo ancora tutti i giorni, anche lui un amico ed una persona molto importante. A questo punto arriva una figura che ho incontrato quando ero già un professionista in orchestra, Mr. Joseph Alessi, primo trombone della New York Philharmonic. Mi ha davvero internazionalizzato e spinto verso la ricerca dell’eccellenza. Sono stato spesso a New York a lezione da lui. E’ proprio Alessi mio trombonista di riferimento, il suono più bello di trombone, la prima volta che l’ho sentito mi ha fatto piangere, mi ha toccato l’anima”.
Che rapporto ha con l’ “errore” essendo l’arte sempre ricerca della perfezione? Quanto fuoco e quanto ghiaccio per affrontare un passaggio arduo?
“Con l’errore ho un rapporto credo adeguatamente amichevole. Suonare per non sbagliare porta solo ad essere rigidi. Non mi piace poter scegliere solo tra essere corretti o no, non sono un commercialista, con tutto il rispetto. Preferisco suonare inseguendo il bello, l’errore fa parte degli esseri umani. Beethoven diceva che sbagliare una nota è un errore insignificante mentre suonare senza emozione è imperdonabile. Poi, alla fine se si cerca di non sbagliare, sbaglia. Se si cerca di realizzare una cosa bella, quasi sempre non si fanno errori”.
Il trombone è uno strumento eclettico ancora tutto da scoprire, credo…..da Wiener guarda anche oltreoceano all’universo jazzistico?
“Essere un Wiener significa essere uno dei musicisti più completi che esistano. Semplicemente perché la produzione è davvero intensa e varia a Vienna, non si dimentichi che i Philharmoniker sono i musicisti dell’opera di stato di Vienna, quindi oltre al grande repertorio sinfonico, impegnati anche in una stagione operistica e di balletto molto ampia. Oltre a questo c’è anche una stagione da camera. Sono impegnato anche in un grande ensemble di ottoni chiamato The Philharmonic Brass. Ho una attività solistica abbastanza ridotta al quale, però, non voglio rinunciare. Oltre a questo faccio anche l’insegnante al Conservatorio della Svizzera Italiana. Direi che ho una vita molto varia e avventurosa. Ho un’infarinata di Musica antica e jazz, con rispetto degli specialisti che si occupano dell’uno o dell’altro, non mi definisco né jazzista né esperto di musica antica. Ascolto però molto jazzisti che adoro come Tommy Dorsey, Urine Green, Frank Rosolino, Dino Piana e tanti altri”.
Va in Scala con la prestigiosa banda dell’ Aeronautica Militare. Un ritorno in grande alle origini, con due pagine importanti per il suo strumento il concerto di Rota e Reason una prima assoluta composta per Lei dal collega Nicola Ferro, può illustrarci questa scelta?
“Credo che La Scala sia il teatro più importante del mondo. Ha un’atmosfera che mi cattura ogni volta che ci entro. Pensi che Nino Rota ha dedicato il suo concerto per trombone all’allora primo trombone dell’orchestra della Scala Bruno Ferrari. È un po’ come portarlo di nuovo a casa. Il legame che ho con la banda è profondo, perché io ho cominciato a suonare con la banda, il mio primo disco solistico è con la banda dell’esercito e si chiama “Roots”, radici. Il legame con la banda dell’Aeronautica Italiana è particolare, perché il mio maestro Costanzi ha militato per più di trent’anni anni in questa formazione musicale, in più ho già suonato alcuni concerti con loro. Nicola Ferro è un collega ed amico che stimo molto, multi-talento e creativo. Ha scritto un pezzo molto interessante, forse la fortuna ha voluto che la proposta del concerto a Milano e il periodo “fertile” per scrivere un nuovo pezzo abbiano coinciso”.
Maestro pensa già ad una eredità musicale?
“Insegno al conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano. Mi piace molto lavorare con i ragazzi/e, vederli motivati, investire nell’arte e nella ricerca della bellezza. È per me una missione, come fu una missione per mio nonno Giacomo che sul letto di morte ci lasció con una frase che non dimenticherò mai: “sono orgoglioso di aver insegnato e fatto amare la musica ai contadini, agli operai e alle persone umili”. Qui trovo la mia forza e la mia identità”.
Tornerebbe a suonare in una delle grandi fondazioni italiane? Magari in Scala?
“Domanda difficile…tornare in Italia. Mi manca tantissimo, devo combattere con la nostalgia tutti i giorni. La filarmonica di Vienna è la migliore orchestra del mondo credo ed è difficile decidere di andare via da lì. Sono andato via dall’Italia non perché non stavo bene o non mi piaceva; il mio sogno era quello di diventare un musicista di livello internazionale. Abitando all’estero ho imparato ad apprezzare tante cose dell’Italia che abitandoci non avevo neanche notato. In più adesso ho una famiglia e non posso più scegliere solo per me”.