Consac, un affare di fagmiglia - Le Cronache Ultimora
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Consac, un affare di fagmiglia

Consac, un affare di fagmiglia

di Peppe Rinaldi

 

L’area del Cilento, è noto, ha un antico problema di approvvigionamento e potabilizzazione delle acque. Succede in altre parti d’Italia, non è certo un’esclusiva di questa meravigliosa zona a sud di Salerno. Ovunque, nel corso del tempo, ci si è attrezzati alla meglio. Lo strumento principale è consistito nella creazione di società pubbliche, miste, partecipate, consorzi e sodalizi di varia natura per una gestione (teoricamente) più snella, concordata e diretta del problema. Gli attori sono in prevalenza pubblici, com’è – forse – giusto che sia vista la materia, quindi Comuni, Province ed enti pubblici legittimati e interessati a prendervi parte.

Un primo nucleo di comuni dell’area meridionale del Cilento, del Vallo di Diano e della Valle del Calore negli anni Cinquanta del secolo scorso si consorziò dando vita a ciò che oggi conosciamo come “Consac gestioni idriche spa”. I Comuni che hanno sottoscritto quote azionarie oggi risultano essere cinquantatré.

 

L’allarme del sindaco

 

“Il Consac gestione idriche spa nasce nei primi anni Cinquanta quale consorzio volontario di enti locali tra i Comuni del Cilento per la gestione del servizio di distribuzione dell’acqua potabile e del servizio fognario e depurativo”, si legge nella homepage del sito istituzionale sotto il titolo dal sapore programmatico “Il nostro impegno comune”. Bene.

Ora, per «nostro impegno comune», si intenderà il complesso di attività svolte, in corso di svolgimento o da realizzarsi in futuro secondo le legittime e autonome programmazioni di un ente pubblico che agisce secondo criteri privatistici, com’è stabilito dalle leggi. Tra queste attività rientra, ovviamente, anche il reclutamento del personale. E qui sta il famoso «busillis», perché in Consac si rileva un andamento anomalo delle assunzioni di manodopera, quadri, funzionari e impiegati. Anzi no, «anomalo» non è il termine corretto visto che certe pratiche, ancorché opache, ricorrono in quasi tutte le strutture di quel tipo osservate nel corso del tempo: in pratica, ciò che è stato possibile rilevare in Consac è sovrapponibile, in sostanza, a ciò che abbiamo negli anni visto, ad esempio, nel Consorzio farmaceutico intercomunale, nell’Asl Salerno e nei relativi distretti, nell’Unione Comuni Alto Cilento, nelle partecipate salernitane e provinciali, nei Piani di Zona, negli Enti di Ambito e in altre carrozze, carrozzoni e carrozzine disseminati sul territorio.

Il riferimento è alla cosiddetta «Parentopoli», termine utilizzato seguendo la conformistica definizione che in genere si dà all’italico costume del «tengo famiglia» che, in materia di assunzioni nel pubblico impiego rappresenta una sorta di Primo Comandamento. La qual cosa crea problemi, in partenza e alla fine, prima e poi. A volte anche seri, com’è probabile accada pure per il Consac dal momento che il binomio politica-ricerca del consenso trova sempre un incrocio fatale, in fondo prevedibile. E poi, si sa, il diavolo fa le pentole ma i coperchi se li scorda sempre.

Lasciamo, per ora, in sospeso tutta la parte che riguarda il consiglio di amministrazione, le nomine, il management, l’influenza della politica e delle relative dinamiche di condizionamento in tema di nomine, consulenze, affidamenti, appalti e via dicendo, lasciamo da parte, insomma, la ricorrente rapacità tipica degli uomini che, a volte, si trasforma in elemento propulsivo ma in altre si fa seguire da guai di diversa provenienza. Andiamo, dunque, al sodo partendo dallo spunto offerto dal sindaco di uno dei centri più piccoli del comprensorio, Roscigno, Pino Palmieri, il quale proprio da queste colonne nei giorni scorsi ha evidenziato la cosiddetta «deriva clientelare» all’interno del consorzio. Cosa voleva dire, a chi si riferiva il primo cittadino? Come accade a chi tenta di capire la realtà, scrostando ed esfoliando si spalanca una prateria ricca di informazioni.

 

Gestione familiare

 

Scorrendo un elenco dei dipendenti Consac non c’è da trasecolare né indignarsi. Non c’è novità né eccezionalità. C’è solo da raccontare.

Allora, vi troviamo figli e figlie, mariti e mogli, cognati e cognate, nipoti, cugini e cugine, generi e nuore: per ovvie ragioni legate al ciclo vitale, mancano solo i nonni e le nonne, gli zii e le zie (ma non ne siamo tanto sicuri) e l’organigramma della famiglia tipo è rispettato.

Ma parenti di chi? Della «politica» griderebbe all’unisono la truppa dei lettori (cinque). Sbagliato, non c’è solo la politica, c’è pure la struttura burocratica dell’ente stesso che tramanda di generazione in generazione un posto pubblico a mo’ di micro-monarchia domestica. La croce non va gettata addosso a nessuno, certe cose è perfino possibile comprenderle, ma i fatti restano tali e non li si può cambiare. La politica governa posti e nomine, non sempre a torto visto che qualcuno dovrà pur prenderle certe decisioni. Il punto di caduta è, però, nella legge, nel senso che essa obbliga al rispetto di certe procedure in mancanza delle quali la cosa da legale diventa illegale, quantomeno illegittima. Come la mole indiscriminata di concorsi interni, esterni, graduatorie, scavalchi, comandi, interim e infernalità varie escogitate nel corso del tempo per incassare qualcosa indebitamente. In genere si chiamano reati. In genere. Se li cerchi e sai (vuoi) fare il tuo lavoro li trovi. Funziona così nella maggior parte dell’universo degli enti pubblici. Non dovrebbe, ma così è.

 

La famiglia allargata

 

Dunque, in Consac abbiamo un gruppo di famiglia in un interno (semi-cit.) formato extra-large, consistente in dipendenti «particolari», diciamo. Questi: A.A., coniuge di un sindaco; G.C. figlio d’arte, come definiremo simpaticamente quelli che hanno ricevuto il posto pubblico in eredità; D.D., legato a uno dei «boss» interni alla struttura, disporrebbe pure di un’auto aziendale senza che lo si scorga mai sul posto di lavoro; G.C., idem come sopra; L.B., cugino del coniuge di un altro «boss» Consac; R.B., nipote di un noto politico della zona; A.C., già vicesindaco di un Comune consorziato; A.D.A, nipote di un sindaco; G.D., nipote di un vice-sindaco; L.D.D., fratello di un assessore e figlio d’arte contemporaneamente; A.D.V., figlio di un sindaco; E.C., fratello di un assessore; N.S., figlio d’arte pure lui con posto ereditato; G.C., genero di un assessore; F.G., egli stesso vice-sindaco e assessore in carica; L.L.M., cugino di un vice-sindaco; G.L., figlio di un sindaco; A.L., coniuge di un sindaco con la particolarità di lavorare «da casa» nonostante sia inquadrato come “letturista”, cioè la figura che dovrebbe girare per i comuni a controllare i contatori; C.P., sindaco e consigliere nel CdA Consac, già dipendente della partecipata “Pluriacque”, poi, per i movimenti tellurici scatenati dalle graduatorie e dai comandi abborracciati che abbiamo imparato a conoscere negli anni, approdato al consorzio; S.P., sindaco; R.C., consigliere comunale, dipendente “Pluriacque” e membro del Cda Consac; M.R., coniuge di uno dei figli di un altro vice-sindaco; C.P., figlio d’arte di un caporeparto; L.G., idem; L.F., idem. Poi ci sarebbe un pugno di lavoratori in smart-working, in pratica stanno a casa e prendono lo stipendio, uno dei quali, tale A.V. in sede non lo si vedrebbe da anni.

Sic transit gloria mundi. Amen.