Salerno. Il ricordo di Giovanni Avallone - Le Cronache Ultimora
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Salerno. Il ricordo di Giovanni Avallone

Salerno. Il ricordo di Giovanni Avallone

Massimo Bignardi

Questa estate è stata segnata dagli addii. A Lelio, ad Alfredo Della Monica, Pietro Amos e, prim’ancora, il giovane filosofo Fortunato Cacciatore, si aggiunge oggi il nome di Giovanni Avallone. Cosa dire? Possiamo solo accettare ciò che il tempo traccia nella nostra narrazione. La scomparsa di Giovanni è per me, il momentaneo distacco da un amico la cui vita è stata, al di là della professione di avvocato, il sovrapporsi di molteplici interessi culturali ed artistici. Mi legava a lui un affetto profondo, antico: i miei genitori erano amici del padre, il maestro Mario: raffinato pittore, musicista anche autore di versi musicali e, soprattutto, un artista che ha saputo interpretare i segnali vivi e moderni della pittura del Novecento italiano. In alcuni ben noti dipinti, la lezione di un Marussig oppure di Oppi si legge ben chiara. Mario Avallone è stato, penso di non sbagliare, forse l’unico degli artisti salernitani, tra gli anni trenta e i cinquanta, a viaggiare in Italia. Questo patrimonio di conoscenze, di curiosità, di voglia di aprire il dialogo al di là dell’abusata eredità del tardo ottocento napoletano o del classicismo di regime, è stato il viatico di Giovanni: l’amore per il teatro, per la fotografia, soprattutto la curiosità e lo slancio verso le nuove tecnologie comunicative, in primis la televisione. È stato il primo regista dell’emittente salernitana Telecolor, poi Telecolore che, con TelesalernoUno hanno segnato una significativa svolta nel dibattito sociale e culturale della città, nell’ indimenticabile stagione segnata dagli anni settanta. Ma con Giovanni mi legano vecchissimi ricordi familiari: Annamaria, mia sorella e Guglielmo, il quartogenito andavano a ripetizione dalle sorelle di Mario Avallone, nella casa in via Sabatini, quel palazzo in stile umbertino che, un tempo (all’alba del secolo XX , prima della costruzione del palazzo del Genio Civile,) si affacciava sul porto. Io ero piccolo, appena quattro anni e quindi non posso avere ricordi, però la storia del “pittissimo” appellativo che mio fratello Guglielmo aveva dato al Maestro Mario. Con Giovanni “pittissimo” dava l’avvio a interminabili racconti di famiglia: del nonno Giuseppe, grande pittore e, soprattutto, decoratore, inviato a Vienna, per l’Esposizione Universale del 1873, intimo amico di Gaetano Esposito; dello zio Pasquale alfiere della pittura salernitana quasi dell’intera metà del secolo. Infine le sue passioni, tante ma tutte affascinanti. La fotografia era quella che, maggiormente, teneva banco: accendeva le sue corde narrative, così parlare il teatro Verdi, della sua vicenda fio e oltre il sismo del 1980. Con Giovanni va via un pezzo significativo della ‘memoria’ della città, da tempo, purtroppo cifrata dall’assenza di un collettivo e non privatistico dibattito culturale. Giovanni aveva una barca, come tutti i salernitani che hanno vissuto il mare cittadino, quello che bagnava l’ansa occidentale, ora tutta ingoiata dal cemento del porto. Ci incontravamo spesso sul pontile dei Canottieri: il sorriso lo precedeva, rinnovando, senza parole, l’affetto che ci ha sempre legato.