Gusto italiano tradito, recitativi da dimenticare, belle voci per questa produzione coreana che è riuscita comunque a divertire il pubblico. Sugli scudi la Rosina di Yunkyoung Yi, il Don Basilio di Youngsuk Lim e il Fiorello di Seongjun Kwon
Di Olga Chieffi
C’era grande attesa per questo Barbiere di Siviglia made in Corea qui a Salerno. Produzione di classe quella del Daegu Opera House, che ha schierato i suoi talenti migliori per non sfigurare in Italia e, per di più, nel nostro massimo dal cui cielo blu lapislazzuli, occhieggia e giudica pubblico e palcoscenico, proprio Gioacchino Rossini. Prove tecnologiche con il regista Ui Ju Lee che muoveva gli artisti con il laser, direttore d’orchestra con scatola magica sul podio, dal piglio e dal gesto fermissimo. Niente ritenuti, nessun riguardo per gli strumentini che pur devono prender fiato dopo le corone, nessun attacco alle varie sezioni, e meno male che gli artisti dell’Orchestra Filarmonica Salernitana il Barbiere lo conoscono quasi a memoria, altrimenti alla fine e senza gravi intoppi, il giovane maestro Jung Hyun Cho non sarebbe mai arrivato. I coreani forse non conoscono la Rossini’s renaissance. Quel nuovo stile, moderno senza ostentazione che può davvero prolungare l’esistenza dell’opera lirica presso il pubblico futuro, l’abbiamo intuito unicamente nell’orchestra, leggera, calibrata, che ha posto in risalto, nelle sue possibilità, la dizione vocale perfetta della maggior parte dei cantanti. Per il resto gli insulsi gesti delle braccia, le incrostazioni comiche di dubbia lega depositate in strati sempre più spessi nei quasi duecento anni di vita di questa opera, la solita scempiaggine sul numero dei fogli, la delusa replica estemporanea di Rosina quando s’informa ansiosamente da Figaro sull’amato oggetto di quel simpatico giovane con cui l’ha visto in strada, erano tutte presenti, per di più caricate con qualche lazzo in napoletano “’U formaggio ‘ncopp i maccarun” , “Va ‘bbuon ‘accussì”, qualche parola in coreano e un po’ di arti marziali orientali, il colpo di cannone con i lampi di luce e la proiezione della pioggia, nella tempesta finale. A Salerno è andato in scena un Barbiere in una spiritosa versione che ha quasi evocato il cartone animato, in cui naturalmente non tutto ha sempre funzionato alla perfezione. Su di una scena classica con casa di ispirazione moresca, su due piani, collegata con una scala a chiocciola, molto elegante, hanno preso vita i personaggi vestiti secondo la foggia ottocentesca, ma ispirati a dei figurini di un libro di caricature inglesi, con colori sgargianti dal viola al verde bottiglia, al giallo dei pantaloni, quasi leopardati, di Figaro che si è mosso velocemente in monopattino. Interessanti e giovani le voci quelle proposte dal cast ma…. per dirla con Rosina, la musica, il gusto italiano, il fraseggio sono stati i grandi assenti. Non ha convinto affatto il Conte d’Almaviva di Nam Won Huh, il tenore non ha sicuramente una voce possente, ma è dotato di squillo sicuro, il fraseggio è però piatto, senza sfumature e mezze voci. Tae Hyun Jun è un Bartolo senza sillabato, caratteristica del nostro “medico barbogio”. Migliore del cast è risultata Rosina. Voce limpida, giovane sicura e scenicamente disinvolta, e adatta teatralmente al ruolo anche se soprano e dal timbro chiarissimo, unitamente al Don Basilio di Yongsuk Lim, una voce dalla bella brunitura nelle note centrali oltre che ancor maggiore autorevolezza nella cavata grave, che trova in Rossini sicuramente il suo terreno d’elezione. Sang-Gun Suk è stato un buon Figaro, meno stentoreo di quello cui siamo avvezzi e perciò felicemente libero da quella truculenza astiosa di cui lo caricano altri interpreti più possenti dal punto di vista vocale. Recitativi da dimenticare e sparizione totale della voce di tutti gli interpreti nei pezzi d’assieme, al principio di ogni crescente concitazione. Brillante il Fiorello di Seonhjun Kwon mentre, lontanissima dalla pronuncia italiana è stata la Berta di Jung –A Son nella cosiddetta aria del sorbetto. Sfasato il coro maschile preparato da Tiziana Carlini. Allora gli applausi tributati ai coreani, da dove sono sgorgati così spontanei e calorosi? E’ tutto merito di Gioacchino Rossini, della sua orgiastica felicità del ritmo e del comico che vale qui come esilarazione lirica suprema: è quello appunto che Baudelaire chiamava “le comique absolu”, per distinguerlo da quello fondato sull’ironia o la satira (“le comique significatif”). Ed è vero che questa è normalmente, in Rossini, la ragion d’essere dell’opera buffa; ma in nessuna essa raggiunge il livello del Barbiere perché in nessuna il delirio comico fiammeggia da personaggi di tale concretezza.