di Alfonso Malangone*
A volte, accadono fatti davvero ‘strani’ in Città, tali da creare un generale scompiglio e perfino alimentare una grande ‘ammuina’. Del resto, si sa: se le cose sono difficili da capire, solo un tuttologo come Pico De Paperis può fornire le spiegazioni giuste. Così, quando capita che le ‘stranezze’ si affollano, è possibile che di ammuina in ammuina esse finiscano in un comune dimenticatoio senza che qualcuno abbia capito qualcosa. Non è certo il caso di ricordare i garbugli insorti in ambito culturale, in quello universitario, in quello immobiliare, in quello economico/sociale, per i quali sono state avanzate da più parti richieste di chiarimenti rimaste tuttora prive di riscontro. Quando, però, gli eventi ‘strani’ colpiscono in pieno le condizioni dei cittadini, e le loro tasche, è doveroso tentare di individuarne le vere motivazioni a beneficio di tutti e al di là di ogni ragionevole dubbio. Ebbene, il caso della spiaggia di Pastena sembra davvero meritare un opportuno approfondimento per evitare che le discussioni tra i cittadini, pro e contro, restino a livello di semplice ammuina. E’ stato già osservato, in un precedente commento, che su questa vicenda ci sono stati scontri significativi tra coloro che hanno apprezzato, comunque, la qualità dell’opera e coloro che ne sono rimasti delusi. Adesso, con le indagini ufficiali sui frammenti di ghiaia ‘stesi’ sull’arenile, si spera possano essere forniti oggettivi elementi di valutazione con riferimento, in particolare, alla natura e dimensione del materiale e all’assenza di inquinanti, tipo l’amianto, come temuto da qualcuno. Ovviamente, su quest’ultimo punto si attendono risposte tranquillizzanti, idonee ad assicurare che i temuti danni per i bagnanti siano ristretti esclusivamente alle piante dei piedi e all’acquisto di scarpette per evitare lacerazioni. Del resto, è difficile pensare che su quei ciottoli si possano giocare partite di calcio o di beach volley, a meno che i volenterosi non decidano di frequentare un corso per fachiri prima di scendere sull’arenile. Nessun problema per i castelli di sabbia, ormai non li costruisce più nessuno. Sulla questione della difformità della ‘sabbia’, è stato riferito che i Tecnici Comunali avrebbero confessato la presenza di un difetto nella ‘catena di controllo’ durante l’audizione in Commissione Urbanistica convocata a due mesi di distanza dall’apertura della spiaggia. Può essere. Però, si legge da qualche parte che la cosiddetta catena di controllo di un’opera pubblica è generalmente costituita dal Responsabile Unico del Procedimento e dal Direttore di Cantiere, cioè dagli stessi che, salvo ogni errore, avrebbero fornito la dichiarazione. Quindi: “chi è stato?” E, poi: “quando è successo”? In realtà, è verosimile che le difformità siano emerse in occasione della elaborazione di uno ‘stato di avanzamento lavori’, documento destinato a riassumere tutte le lavorazioni e tutte le somministrazioni eseguite per procedere al pagamento di un acconto sul contratto. Appurare questo aspetto è molto importante perché, se l’accertamento fosse davvero avvenuto prima dell’inaugurazione, allora per due mesi la verità sarebbe stata chiusa in qualche cassetto dell’Ufficio Comunale. E, sarebbe una vera ‘stranezza’. Però, se così fosse, sarebbe ben spiegata anche l’assenza del collaudo. Per chiarire questo, è opportuna una premessa. Secondo l’art. 116 della Legge 31/03/2023 n. 36, detta Codice degli Appalti, il collaudo è una parte fondamentale della procedura di realizzazione di un’opera e può essere effettuato, detto in modo molto approssimativo, nella duplice forma del ‘collaudo statico’ e di quello ‘tecnico-amministrativo’. Il primo è finalizzato a giudicare le prestazioni delle componenti strutturali, se presenti, valutandone la stabilità e la sicurezza, come la resistenza ai carichi, alle tensioni, alle torsioni. Il secondo è richiesto per tutte le opere pubbliche e, in alcuni casi, anche per quelle private, con lo scopo di certificare la loro esecuzione a regola d’arte, secondo il progetto approvato e le prescrizioni tecniche, nonché di verificare che i dati risultanti dalla contabilità e dai documenti giustificativi corrispondano fra loro e con le risultanze di fatto. E’ evidente che, per il ripascimento, il collaudo statico non è praticabile, mentre la verifica tecnico-amministrativa deve riguardare principalmente la conformità dell’opera e la qualità dei materiali di spiaggia già sottoposti ad analisi per escludere qualsiasi rischio per la salute e per l’ambiente. Per le opere complesse, tutto questo si può effettuare anche nel corso dei lavori, ancor più quando ne sia consentito l’utilizzo da parte della collettività. In forza di tale normativa, è evidente che le difformità denunciate dai Tecnici, se rilevate in sede di collaudo, avrebbero bloccato ogni successivo uso dell’arenile. Ovviamente, si fa salvo ogni errore. Ciò posto, su natura e dimensione del materiale c’è stata una foto pubblicata su queste pagine che ha dimostrato, ad abbondanza, la presenza di pietrisco grossolano, disomogeneo, con punte e lati pure taglienti, in grado di produrre anche conseguenze ambientali a causa dello stravolgimento dell’originario habitat marino. Senza dire del danno arrecato all’immagina Caraibica di una Città con arenili grezzi di carta-vetro. Ma, queste, sono cose da nostalgici o da cittadini esigenti. Eppure, le aspettative erano ben diverse! In alcune interviste riportate da molte testate cittadine, era stata prospettata la realizzazione di un arenile a doppio strato: uno, inferiore, di ghiaia più doppia, e uno, superiore, di sabbia più sottile. Secondo quanto attribuito al geologo direttore operativo dell’impresa, questa sabbia avrebbe avuto uno spessore di 120 cm e sarebbe arrivata da Eboli. C’è da dire che la stessa gara di appalto attribuiva 20 punti in più alla partecipante che avesse offerto la sabbia marina rispetto al pietrisco di cava. Ora, poiché all’impresa che ha vinto è stato assegnato un punteggio di 97,701 su 100, è giusto chiedere se l’avesse proposta e, nell’affermativa, perché non c’è più. Salvo non sia questo il motivo della difformità. Infine, se per la sabbia sono stati offerti punti, non incrementi di spesa, vuol dire che il costo del materiale è stato ritenuto ininfluente. Quindi: “perché non è stata imposta la sabbia?” Una risposta sarebbe gradita. Alla fine di tutto, altre domande avanzano. La prima. Se la criticità è emersa nel corso di uno stato avanzamento lavori: “sono stati effettuati i pagamenti?” La seconda. Una volta accertato il fatto: “quali provvedimenti sono stati assunti?” La terza. Alla ripresa del cantiere: “cosa succederà?” Chissa! In verità, sarebbe doveroso condividere pubblicamente tutti i parametri idonei a favorire la piena conoscenza di quanto avvenuto, sgombrando il campo da malintesi ed equivoci che, almeno fino ad oggi, hanno contribuito ad accrescere l’ammuina e a dividere ancor più i cittadini ‘a prescindere’, come direbbe Totò. Se la valutazione delle opere pubbliche fosse frutto di apprezzamenti ristretti esclusivamente alle loro caratteristiche oggettive, sarebbe già un grande passo in avanti per la nostra Comunità. Al riguardo, detto con grande rispetto, denominare ‘Universo Beach’ una distesa di pietrisco è solo espressione della volontà di colmare a parole, pure con presunzione, una concreta inferiorità qualitativa della spiaggia rispetto a luoghi irraggiungibili. Almeno, chiamiamola ‘Marinella di Pastena’ o ‘Marina Piccola’. Forse, faremmo una figura migliore. La saggezza degli antichi ricorda che: “chi rompe paga e i cocci sono suoi”. In Città, purtroppo, è capitato che più volte si sia rotto qualcosa, ma a pagare sono sempre stati i cittadini anche facendosi carico dei cocci. In verità, su tutto quanto emerso per l’arenile Caraibico, una riflessione comune tra i ‘contrapposti’ potrebbe essere opportuna per mettere fine all’ammuina, pure senza una reciproca offerta di scuse. Perché, qui, non si tratta di stabilire chi ha vinto o chi ha perso. Qui, i cocci sono di tutti. *Ali per la Città P.S.: si fa salvo ogni errore e si auspicano rettifiche.





