di Peppe Rinaldi Intertrade, la società in house della Camera di Commercio, torna al centro dell’attenzione: delimitata da un ristretto perimetro per la verità, ma pur sempre attenzione è. O sarà. Allora: Innocenzo Orlando, direttore della società nata per internazionalizzare le imprese salernitane e costituita con i capitali della Camera di Commercio -quindi con danaro pubblico- è stato oggetto di un’indagine lampo della procura. L’ipotesi era di falsità in scrittura privata: il dottor Orlando, in pratica, avrebbe attestato di essere in possesso di un titolo che consentirebbe l’iscrizione all’elenco nazionale dei segretari generali di camera di commercio, mai abbastanza citata super casta, tutta italica e con stipendio da favola. Un peccatuccio, ove mai si fosse effettivamente concretizzato, non tanto veniale viste le conseguenze pratiche di un avanzamento in carriera taroccato, anche se solo potenziale . Vecchia storia, nessuno scandalo, succede più o meno in ogni ambito lavorativo. Per questo ci sono le leggi. Senza scendere nel dettaglio perchè l’argomento è ostico, basti dire che siamo in presenza di un classico incartamento burocratico-giudiziario, tipico della condizione ormai fuori controllo e dell’irresponsabilità diffusa del sistema Italia: vale a dire, norme su norme che mangiano altre norme, interpretazioni e pareri di alti e meno alti dirigenti ministeriali che pesano più del disposto, chiaro e logico, della lettera della legge -quando c’è-, sommatorie varie di carte e fascicoli, procure e uffici giudiziari ingolfati e non sempre ‘lucidi’ per entrare nel merito dei problemi. Con conseguenze spesso imprevedibili. Nel caso specifico, la procura di Salerno ha cercato di capire se la documentazione esibita al Mise -Ministero per lo sviluppo economico- da Orlando, convalidata peraltro da un papavero dell’ente di via Roma (un ex segretario generale neppure sfiorato dall’indagine nonostante la condivisione del documento, in genere indagano su tutte le firme in calce ai documenti in esame…) avesse procurato all’interessato un ingiusto vantaggio. L’articolo 485 del codice penale parla anche di vantaggi di tipo non patrimoniale: qui invece, inutile dirlo, si parla di tanti soldi in busta paga una volta chiuso il cerchio. Il pm titolare del fascicolo ha interpellato il Ministero chiedendo lumi sulla procedura: il che già la dice lunga sulla farraginosità delle norme che regolano la materia. Ma, almeno, questo sostituto procuratore (Maurizio Cardea), al di là dell’apparente tenuità del fatto (segnarsi questa espressione, sarà di moda a breve…) che tenue oggettivamente non sembra, non è partito lancia in resta ammanettando alla cieca. E questo è sempre un bene. Infatti da Roma gli rispondono che pur essendo “vero” che Orlando il titolo non l’aveva per iscriversi nel dorato albo dei ras delle Cciaa (quindi il fatto ci sarebbe stato) in fondo si è trattato solo di una prassi: far risultare, ad esempio, una specie di “dirigenza” di una società qualsiasi (qui, Intertrade) legata al circuito camerale equivarrebbe al superamento del requisito di legge. Chiaro? La legge dice una cosa, la prassi ne inventa un’altra: e quelli che invece ne seguono o hanno seguito la lettera? Tutti cretini? Finale? Niente, il sostituto si soddisfa con la dichiarazione, chiude il fascicolo perché dice che di prove da far alere in giudizio non ce ne sono (secondo lui) e ne chiede l’archiviazione. Orlando e/o chi per lui può tirare un sospiro di sollievo. Invece no. Perché all’archiviazione c’è stata opposizione di un terzo soggetto, da cui sarebbe partita l’indagine. Un motivo, tra gli altri, su cui un gip si dovrà pronunciare per chiudere la pratica o andare a processo: la competenza territoriale. Il presunto reato sarebbe stato commesso a Roma, sede del ministero. La procura romana, in verità, già stava operando ma, per una stravaganza classica del sistema, la faccenda è finita a Salerno: e ora torna indietro, almeno dovrebbe. O, forse, potrebbe. Si chiama Italia.
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