“Era un uomo buono. Quel 17 aprile del 2022 stava semplicemente tornando a casa, come ogni giorno, dopo il lavoro. Lo aspettava sua figlia per il pranzo. Ma non è mai arrivato”. Inizia così la toccante lettera diffusa oggi dalla famiglia di Matteo Spirito, il commerciante salernitano di 59 anni deceduto nella notte tra Pasqua e Pasquetta, dopo un incidente stradale e un drammatico percorso ospedaliero.
Tre anni dopo, nessuna verità. Solo il silenzio e l’attesa. Un attesa logorante per i suoi cari, che oggi affidano alla carta la loro denuncia: “Quel giorno, il destino ha iniziato a voltargli le spalle. Ma è nei giorni successivi che lo hanno tradito davvero. In corsia prima, nei tribunali poi”.
Matteo fu ricoverato al “Ruggi” di Salerno e poi trasferito al “Moscati” di Avellino per un intervento chirurgico urgente che, però, non è mai stato eseguito. Morì prima di entrare in sala operatoria. Da allora, la sua famiglia cerca risposte: la Procura ha aperto un’inchiesta, indagando sei medici e il conducente dell’auto coinvolta nell’incidente. Ma i procedimenti si sono arenati tra perizie, errori tecnici e ricorsi respinti per vizi di forma.
“Abbiamo incontrato falsi paladini del diritto, avvoltoi travestiti da consulenti, collaboratori che si sono voltati dall’altra parte – scrivono la figlia e la moglie –. Siamo state lasciate sole in un mare di squali, dove nessuno ha teso una mano”.
Eppure, nella loro battaglia, non mancano spiragli di umanità. “Persone oneste e coraggiose ci hanno affiancato. Grazie a loro andiamo avanti. Perché Matteo merita giustizia. Merita pace”.
Il loro appello si chiude con un’immagine di speranza: “L’ora più buia è quella che precede la luce. E quella luce, prima o poi, squarcerà la nebbia. Anche quella in cui si nascondono, ancora oggi, volti fin troppo noti”.
Il testo integrale della lettera dei familiari di Matteo Spirito
Era un uomo buono che quel 17 Aprile del 2022 stava percorrendo serenamente un breve tratto di strada al termine di una giornata di lavoro per tornare a casa da sua figlia per ora di pranzo. Il solito tratto di strada, il solito orario, i soliti pensieri, frantumati da un evento fortuito ma non tanto da spezzargli la vita, no. Non quel giorno. Era un uomo buono, Matteo Spirito, che non ha mai smesso di sorridere neppure quel giorno che lo avrebbe messo di fronte ad un destino beffardo che lo porterà a lottare giorno dopo giorno tra sofferenze atroci e approssimazione di chi ne seguiva le sorti, dal nosocomio di Salerno a quello di Avellino, dove, il fato, guidato da mani di illuminati specialisti, distolti da banchetti pasquali, ha deciso che non sarebbe più dovuto tornare a casa da sua figlia, non per qualche giorno ma per sempre.
Quel triste giorno il destino di Matteo è stato troncato, per la prima volta, e, tra luci ed ombre, ancora oggi si cerca di venire a capo della verità, cercando di stanare i responsabili di tutto questo. Dopo anni di indagini e di perizie sostenute, lungo un percorso fatto di errori di sedicenti principi del foro proclamatisi a tinti salvatori della patria ma dimostratisi autentici azzeccagarbugli che hanno decretato per la seconda volta e senza scrupoli la morte di quell’uomo buono, arrogandosi, con raggiri gloria e ricchezze effimere, sotto forma di donazione, condite da azioni tanto tendenziose quanto lacunose come un “rigetto del reclamo per errata presentazione dello stesso alla cancelleria di competenza nonché per ritardo dei termini” (regole basilari anche per un praticante).
Era un uomo buono che cerca giustizia per mano della figlia che dal giorno della dipartita combatte con la madre una battaglia per donargli quella pace che merita. Una battaglia attraversata in un mare di squali laddove nessuno ha teso una mano per alleviare quella traversata in acque sconosciute; da sedicenti ed omertosi pseudo-consulenti, successivamente colpiti da denunce, ad irriconoscenti collaboratori. Un percorso duro e sempre pronto a stravolgere la quotidianità; quella stessa quotidianità fatta anche di persone valide e di cuore che si sono affiancate e armate senza timore in questa traversata.
Era un uomo buono che a distanza di un triennio non ha avuto ancora giustizia ma che la invoca a gran voce per far scontare a chi ne ha colpa, le mancate risate e gli abbracci non dati a chi lo attende a casa, sognando la sua voce e consapevole che l’ora più buia è quella prima di vedere la luce, ma quando la luce arriva riempie di calore ogni cosa diradando la nebbia; quella nebbia dove si nascondono, mascherandosi ancora oggi, volti familiari ma che, con il trascorrere del tempo diventano sempre più nitidi.





