di Antonio Manzo
Sessantuno passi. E sono ancora gli stessi. Ma Nicola Giacumbi non c’è più. Quarantacinque anni, il 16 marzo del 1980, è assassinato dalle Brigate Rosse dalla colonna salernitana “Fabrizio Pelli”. Nicola Giacumbi è il procuratore della Repubblica facente funzione in quel Palazzo di Giustizia che oggi diventerà la frontiera della memoria salernitana quando il sindaco Enzo Napoli scoprirà una targa per onorarlo e ricordarlo. E’ domenica 16 marzo 1980. Nicola Giacumbi dopo il pranzo domenicale di famiglia, consumato a casa dei suoceri, va al cinema con la moglie Lilly per assistere alla proiezione del film “Kramer contro Kramer”. Poche ore e, al rientro verso casa a corso Garibaldi, Nicola Giacumbi diventa il bersaglio di uno scriteriato attacco allo Stato. È la sera piovosa di 45 anni fa. La città conosce le gesta di un gruppo armato salernitano e gli assassini politici negano per sempre anche i sessantuno passi della sua vita che quotidianamente percorrre per raggiungere il Palazzo di Giustizia ubicato proprio di fronte al portone dove abita. La casa e la Chiesa, tutti i giorni, in una vita che scorre abituale da autentico servitore dello Stato. Ma i killer, quella sera si materializzano, sotto gli occhi della moglie Lilly Di Renna, spararono e colpiscono a morte Nicola Giacumbi, Lilly Di Renna grida e cerca aiuto agli automobilisti nel traffico rallentato dagli scrosci d’acqua e all’insaputa dei pochi salernitani che sono attovagliati nel ristorante “Nicola dei Principati”. Nicola Giacumbi è a terra, la moglie impreca le auto in fila, cerca aiuto. Ma, da quel momento Nicola Giacumbi non ritroverà mai più i sessantuno passi di vita. Sono gli anni di piombo, eppure quel breve tragitto Giacumbi lo percorre sempre da solo, cammina fra la gente, liberamente, serenamente. Non ha alcuna scorta. Anzi, la rifiuta. Non vuole a mettere a rischio la vita di altri uomini, sono passati soltanto due anni da via Fani, ed è ancora vivo era lo struggente ricordo dello sterminio degli uomini di scorta nel corso del sequestro Moro. Nicola Giacumbi sa di essere un bersaglio mobile. Da poco tempo ha finito di lavorare ad un dossier sulle Brigate Rosse salernitane, dopo l’incendio della Fiat (filiale locale) nella cui sede vengono fatte esplodere con cariche di tritolo numerose autovetture. Sa benissimo, lui come tutto il Palazzo di giustizia, che a Salerno deve succedere qualcosa, e che sul territorio c’è un’agguerrita cellula delle brigate rosse. Ma tutto questo non gli fa mai cambiare idea. “Qualche giorno prima dell’agguato, stavamo facendo colazione – ricorderà nel 2007 in un’intervista a chi scrive la moglie Lilly Di Renna – mio marito assunse un atteggiamento pensoso e mi disse: non penso tanto a quel che può accadere a me, ma sono preoccupato per te e per Giuseppe, nostro figlio”. L’uccisione del procuratore di Salerno, fu facile facile, un gioco da ragazzi (armati), otto terroristi, che sparano quattordici colpi alle spalle di Nicola Giacumbi col silenziatore. Un proiettile sfiora la moglie, salva per miracolo. Un’azione da guerra, firmata dalle Brigate Rosse, colonna” Fabrizio Pelli” (Pelli era un giovane terrorista di Reggio Emilia morto l’anno prima in carcere per leucemia, e giovani sono i sicari che hanno fatto di lui una bandiera: esponenti del ’77, operai transitati per l’autonomia, la figlia di un noto oculista, il figlio di un consigliere comunale socialista). Perché viene ucciso Giacumbi? Per vendicare la morte del militante di sinistra romano Valerio Verbano, avvenuta nel quartiere Monte Sacro un mese prima. E che c’entra Giacumbi? “E’ un fascista”… L’assassinio è rivendicato con un volantino, lasciato nel bar “Natella & Beatrice”. “Abbiamo ucciso il boia fascista Giacumbi” sentenziano tragicamente i terroristi. L’assassinio ha un duplice obiettivo: accreditare l’ipotesi della creazione di un blocco di violenza terroristica che unisce il Nord al Sud e aprire una nuova campagna di attentati contro i rappresentanti dello Stato. E’ un’Italia impazzita e in ginocchio. Un mese prima, all’università La Sapienza di Roma, davanti agli occhi della giovane assistente Rosy Bindi, la brigatista Maria Laura Braghetti ammazza il professor Vittorio Bachelet, 54 anni, giurista cattolico e soprattutto vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Due giorni dopo l’esecuzione di Giacumbi a Salerno a Roma viene ucciso un altro magistrato Girolamo Minervini ed il giorno successivo è la volta di Guido Galli, altro magistrato e docente di criminologia. Di quei giorni a Salerno c’è la testimonianza di un ex ministro socialista, Carmelo Conte. “Una sera, a Salerno mi accorgo che su dei manifesti con il mio nome era incollato in sovrapposizione un volantino delle Brigate Rosse. Mi preoccupo, denuncio l’accaduto alla polizia. Dopo un po’ di tempo mi avvicina, un capitano dei carabinieri in borghese. Si qualifica e mostra di conoscere il mio caso, nei particolari. Mi confida che tra i mandanti dell’omicidio Giacumbi potrebbero esserci anche persone insospettabili. Del progetto di assassinarlo, comunque, sono a conoscenza sin dall’inizio, non solo i componenti operativi della colonna Fabrizio Pelli, ma anche altri, dentro e fuori delle istituzioni …“ Dalle cronache del tempo si legge che al Palazzo di Giustizia tutti sanno che avrebbero mirato a Giacumbi. “Al massimo pensavamo che lo colpissero alle gambe…” dicono alla moglie Lilly nel giorni del dolore funzionari della Digos mentre rivelano il mancato assassinio di Nicola Lupo procuratore della Repubblica che scansa i terroristi all’ingresso dell’ascensore nel Palazzo di Giustizia. Un insieme di racconti portati alla luce e fusi in maniera indelebile da un collante tragico che rivivranno stamattina dopo i sessantuno passi. Ci sarà anche Giuseppe, l’unico figlio di Nicola Giacumbi, che nei giorni del funerale fu etichettato come Giuseppone dalla fantasia dei cronisti che doveva combinarsi tra il racconto della tragedia e la vita di un giovane appena orfano. I figli sono diventati i padri, in questi lunghi 45 anni, in un continuo ritorno che sembra non dover mai finire, in una immobilità ancestrale difesa con le unghie del ricordo nella città distratta nel quale c’è la drammatica collisione della storia sui vissuti personali, sulla carne viva di un secolo le cui ferite non hanno ancora cessato di sanguinare. Storia e memoria che si fanno narrativa in di questo nostro tempo arruffato nel quale fatichiamo a intravedere una strada o soltanto una traccia da seguire. E camminare tra violenza e morte, ben sapendo che quei sessantuno passi di Nicola Giacumbi possono condurre alla speranza quando la memoria della storia diventa anche educazione sentimentale. A Salerno anno domini 2025, nel giorno del ricordo degli ultimi sessantuno passi di Nicola Giacumbi.





