Tra riunioni, trattative, intese, rotture e alleanze, le Regionali di primavera si avvicinano a grandi passi ma in Campania sembra che i giochi sembrano ancora ben lontani dall’esser fatti. Lo sa bene Romano Ciccone che, al momento, segue dall’esterno gli accadimenti politici che stanno interessando non solo Salerno e la sua provincia ma l’intero territorio regionale. Avvocato Ciccone, lo scenario politico campano e quello salernitano vanno componendosi, ma forse sarebbe più il caso di dire scomponendosi, in vista delle elezioni regionali. Come vede le polemiche che stanno attraversando centrosinistra e centrodestra? «Francamente preferirei che si discutesse di cose da fare per i nostri territori che hanno mille emergenze e che non possono più attendere i tempi di una politica spesso protagonista di polemiche che nascono esclusivamente dalla difesa di interessi particolari, se non proprio personali in alcuni casi. Spero che prevalgano altri metodi e che alla fine si approdi a valutazioni unitarie anche nella scelta dei candidati. Ma soprattutto spero che si cominci a parlare al più presto dei problemi della gente. Dei trasporti pubblici, della viabilità, delle infrastrutture da realizzare, di un’idea di territorio che porti ricchezza e occasioni di lavoro. Io farò di tutto perché ciò avvenga. La gente non ci segue più in queste dispute sganciate dalle cose da fare. Forse qualcuno non si rende conto che anche in Campania, alle Regionali, rischiamo di andare sensibilmente al di sotto del 50% nella quota dei votanti». Le cronache politiche recenti non incoraggiano la gente al voto. I fatti di mafia capitale sono stati un ulteriore trauma in questo senso. «Infatti, è proprio così. Personalmente faccio difficoltà a pensare che l’ormai famigerato “mondo di mezzo” di cui parla Carminati in una intercettazione, riguardi solo la città di Roma. Il sistema su cui un magistrato molto capace come Pignatone sta indagando mette in luce un intreccio affaristico che deve farci riflettere profondamente. Il modo disinvolto in cui si procedeva ad affidamenti, si gestivano appalti, la stessa metodica di funzionamento delle società municipali hanno rappresentato un modo di intendere la pubblica amministrazione e la gestione del denaro pubblico che è inquietante, non tanto perché riguarda una città che è sempre sotto gli occhi del mondo, ma anche perché che non mi meraviglierei se fosse in auge anche in posti diversi dalla capitale». Ha motivo fondato di credere una cosa del genere? «Ho motivo di pensare che il “mondo di mezzo” sia il risultato di una idea di politica che è gestione di interessi particolari, per non dire personali, e non generali. Quando questa concezione si espande e prende il sopravvento, è facile sconfinare nell’affarismo più spregiudicato. Da questo punto all’ intreccio con gli interessi e le attività della malavita organizzata il passo è molto breve. E’ questo il mondo di mezzo. A Roma pare proprio che ci si è arrivati. Ma è chiaro che un sistema politico-mafioso potrebbe attecchire e in passato è attecchito anche altrove. E anche dove si avvertono i primi sintomi di deviazione verso interessi privati della pubblica amministrazione, il percorso verso mete pericolose è aperto». C’è dunque un problema generale su cui intervenire? «Senza dubbio. E bisogna farlo in fretta. Sono passati più di venti anni da Tangentopoli, un momento della politica italiana che ha avuto eccessi giustizialisti, ma che poneva indubbiamente il problema della riforma della politica. In venti e passa anni, evidentemente, i tentativi di riforma non sono stati sufficienti a limitare gli episodi di corruzione e soprattutto non hanno introdotto una idea della politica che andasse oltre un certo modo di cercare il consenso e un’attitudine spregiudicata a gestire il denaro pubblico in modo clientelare, nella migliore delle ipotesi, o addirittura facendo favori a personaggi dalla fedina penale non immacolata e a loro amici. Non voglio fare la parte di quello che cade dalle nuvole. Ho fatto il pubblico amministratore anche io per brevi periodi, per altri più lunghi ho fatto opposizione. Senza fare facile scandalismo, dico che ci vuole uno stile nuovo nell’amministrare il denaro pubblico. Non lo dico solo perché è moralmente più giusto così, ma freddamente rifletto sul fatto che, essendo tutte morte le vacche grasse, oggi non ci sono proprio più risorse per alimentare la politica sprecona dei favori agli amici, degli incarichi superpagati, delle clientele, delle aziende municipali in perdita. Ed è tempo che la politica tolga le mani dai posti dove le ha impropriamente messe. Aziende pubbliche, società partecipate, sanità, servizi devono essere guidati e governati da persone competenti e non dagli amici del politico vincente di turno. E devono essere assunte persone selezionate in base al merito e non in base alle appartenenze. Non penso neanche di essere originale nel dire questo. Ma, attenzione! C’è chi lo dice e poi fa il contrario». A proposito di aziende pubbliche, si torna a parlare della Centrale del Latte di Salerno ora che pare si vada a un taglio del prezzo del latte pagato ai produttori. La Centrale del Latte è l’emblema di cosa la politica deve fare nel Sud e cosa non deve fare. Per anni si è mantenuta in piedi un’azienda pubblica gestita col solito aggravio dei consigli di amministrazione in cui nominare gli amici del potente di turno e si è preso il latte dai centri di raccolta mentre si poteva farlo direttamente dai produttori. Nonostante questo l’azienda era in attivo, il che è quanto dire. Invece di migliorarne la gestione per aumentare ulteriormente l’attivo, si è venduta a un privato in un modo di cui non voglio neanche parlare. E alla fine pare che a rimetterci saranno proprio quelli che non dovrebbero: i produttori, il tessuto economico vivo della nostra provincia. E’ esattamente questo il modo con cui si ammazza l’economia nel Sud: distruggendo le forze produttive, contrastando la condivisione di una mentalità e un sistema produttivo orizzontale e favorendo strutture piramidali che portano potere e consensi agli uomini che operano nei centri decisionali locali nominati dalla politica ed essi stessi uomini politici. E’ così che cresce il cancro del parassitismo e della diseconomia». Deborah Errico
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