Michelangelo Russo
La battaglia dei Giudici per la salvezza della Costituzione è appena cominciata con lo sciopero dei giorni scorsi. A Salerno, sono stati coinvolti moltissimo i giovani. E’ per un loro futuro di libertà e uguaglianza che le toghe vanno in guerra contro l’arroganza di un potere grezzo come i due bisonti Trump e Musk. E’ chiaro chi siano gli alleati dei magistrati in questo braccio di ferro: i giovani, la cultura, l’arte, forse presto la musica. Sono le armi leggere della fantasia, che il despota orco non può controllare: non le sa distinguere né imitare. Dalla sua, il potere orco ha la convinzione che la prepotenza dei suoi argomenti, pari alla massa del consenso che controlla, avrà sempre ragione dei giudici renitenti al rientro nei ranghi del suo dominio. Ma quella della lotta dei giudici per la propria indipendenza ha una storia antichissima, che non conosce confini. C’è stata perfino 1300 anni fa, nella Cina imperiale. Le vicende giudiziarie del Giudice Dee sono narrate in 16 romanzi di Robert Van Gulik. Che è stato un olandese vissuto a Giava da ragazzo. Scrittore e divulgatore, nato nel 1910 e morto nel 1967, è stato anche importante diplomatico nel periodo della guerra mondiale. Conoscitore profondo delle lingue orientali, sposa una cinese nel 1943. Forse è stato anche spia del governo olandese in quegli anni. Un po’ come Ian Fleming di 007, di cui è stato coetaneo anche per tipo di vicende vissute, il personaggio del Giudice Dee nato dalla penna di Van Gulik incarna alla perfezione un modello di protagonista che si muove su scenari subdoli e inquietanti avendo un obiettivo preciso e inderogabile. Un senso profondo di giustizia e di necessità di intervento, anche con modi spicci, in nome della tutela di quella armonia sociale che solo lo Stato può e deve assicurare. Ma se James Bond è ironico, iconico, seduttore, il suo omologo giustiziere cinese di 1300 anni fa è serio, scrupoloso, ma non grigio. È coltissimo, ma non pedante. Sulla quarantina, è un giudice di carriera che gira, a sua domanda, vari distretti dell’immenso impero cinese. Che, apprendiamo dalle verifiche storiche di Van Gulik, aveva già 1300 anni fa (quando da noi vigeva la legge druidica dei longobardi) un sistema giudiziario perfetto e un codice penale scritto. Anzi, a parte l’esercito, caso a sé, il sistema giudiziario era il vero perno di organizzazione dello Stato. Tutto riconducibile al concetto di razionalità e di armonia del Confucianesimo. Che è la religione laica del Giudice Dee, che ha in disprezzo il massimalismo assolutistico del Buddismo in ascesa, ed è una religione divisiva con ambizioni di maggioranza assoluta per il controllo dello Stato. Dee è audace, indipendente nel nome della legge. Quando arriva nella nuova sede, si accompagna solo alla sua squadra di polizia giudiziaria, che gli è fedelissima. Si insedia senza porgere omaggio ai potenti locali (spesso autentici farabutti dietro le ricchezze e i modi gentili). Prende le redini delle indagini di casi irrisolti. E’ rapido, incisivo, tattico. Ma è anche attento alla difesa dei deboli. In primis le donne, che salva di continuo dai codici barbari che impongono loro il suicidio quando vengono violentate. Dee non ha pietà verso i prepotenti che tentano di corromperlo e intimorirlo. Segue scrupolosamente i precetti confuciani di verifica delle prove, chiunque sia indiziato. Dee non va a cena in casa di potenti; non ha vizi, ama la quiete della sua famiglia. Che abita di dovere nel Tribunale, per evitare compromessi. Dee ha rispetto del lavoro di tutti. Paga di tasca sua al ristorante, rifiutando omaggi. Vive del suo stipendio decoroso. Tiene udienza mattina e pomeriggio, se non è impegnato nell’indagine. In aula, svolge le funzioni sia di accusa che di giudizio finale. Ascolta tutti nella qualità di Pubblico Ministero, terminando l’istruttoria. Ma al momento della sentenza, smentisce non poche volte il se stesso accusatore che ha chiesto la condanna. Il tutto, nella Cina di 1300 anni fa, senza che nessun frescone si fosse mai alzato a starnazzare in favore della separazione delle carriere. La tenuta istituzionale dell’immensa prima potenza mondiale che è la Cina non poggia su Carlo Marx ma sui valori antichissimi di una organizzazione statale diffusa dal basso, obbediente non a un regime, ma ad una esigenza etica di rispetto egualitario di tutti i cittadini, senza privilegi per i potenti.





