di Antonio Manzo
«Ed ora sopravanzano le cose il loro nome». Il verso di Mario Luzi arriva come una saetta nel giorno che il mondo celebra il compleanno di Sofia Loren. Novant’anni, una poesia italiana con una vita ancora davanti a sé che ha contato anche 17 giorni di carcere per evasione fiscale nella sua lunga esistenza. E’ il 1982 e nell’Italia degli evasori non perdonano che la famosa Sofia, per un errore del suo commercialista, avrebbe potuto evitare la galera-
Sono gli anni dello scandalo Eni-Petronim, del processo Moro, della vicenda Cutolo-Cirillo dello scandalo dei tre fratelli Caltagirone ma era ancora lontano la famigerata Lista Falciani, dal nome di un bancario svizzero che elencò le persone che beneficavano di conti correnti in Svizzera. E Sofia Scicolone, nata a Roma il 20 settembre 1934 ma da famiglia napoletana, risiede in Svizzera dove viene raggiunta dalla condanna per espiare mesi uno di reclusione per evasione fiscale. Al tempo, il malandato magazzino italiano del fisco non vendeva alcun condono. E, quindi, quale occasione migliore per mandare in galera Sofia Loren con una sentenza che sarebbe dovuta essere falsamente pedagogica e sensazionalmente ipocrita nel paese degli spaghetti pizza e mandolino?
17 giorni in carcere
Ecco che Sofia Loren finisce per 17 giorni nel carcere di Caserta dove l’accoglie una giovane direttrice Liliana De Cristoforo. Dopo più di trent’anni, Liliana racconta il carcere attraverso le storie delle detenute che ha dovuto ospitare. Pagine spesso atroci, con l’incalcolabile peso della sofferenza portato da chi ha in prestito le chiavi della libertà degli altri, ma anche con le righe della speranza che, alla fine di ogni racconto, fanno rintracciare il filo della luce nelle lunghe notti delle celle. Sarebbe stato semplice, per Liliana De Cristoforo, che comincia il suo lavoro nel 1974 a Poggioreale per continuarlo poi a Pozzuoli e Caserta, offrire un solo racconto di trentatré anni di servizio nell’amministrazione penitenziaria. Bello e interessante il capitolo sulla carcerazione di Sofia Loren. Perché è anche un autentico spaccato dell’Italia che c’era e dell’Italia che c’è. Sofia Loren, la detenuta eccellente che dovette ospitare dal 20 maggio 1982 perché inseguita da un ordine di carcerazione: un mese di reclusione per evasione fiscale. Nell’umanità di un carcere Sofia Loren è nella propria storia di errori da lei certamente non voluta. Ma dietro le sbarre, con un calendario che sembra non cambiare mai foglio, Sofia Loren è detenuta per 17 giorni tra le storie di altre detenute con la verità di ben altre, incredibili storie. Cosa accade quando la direttrice di un carcere «firma» l’ingresso di una nuova «inquilina»? Da dove arrivano? A che pensano, oltre che ai giorni, mesi, anni che dovranno trascorrere dietro le sbarre?
Il carcere di Caserta
A Caserta non c’è solo Sofia Loren per la quale si apre il ventaglio della solidarietà fino a quella silenziosa ma partecipe dell’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini o della penna raffinata di Mimì Rea scrittore napoletano di fama mondiale. In quei giorni nelle celle vicino a Sofia c’è Concetta, finita in galera per un delitto d’onore, reato penale degli anni Cinquanta, con una doppia condanna: quella del carcere e quella della società dell’epoca con i suoi parametri di giudizio, incattiviti dai contesti patriarcali se non addirittura padronali per l’altro sesso. C’è Alfonsina, la contadina irpina che ha decapitato con l’accetta il marito violento. C’è Olga, finita in carcere per camorra, per essere stata l’amante del boss. Sarebbe una scoperta, oggi, rileggere quei verbali redatti con macchine da scrivere in sperdute stazioni di carabinieri e con quel lessico tipico dove spesso l’efferatezza dei crimini non è tradotto nel lessico della pietà.
L’ispezione nella cella della Loren
Nel 1982 la carcerazione della Loren è un autentico spaccato dell’Italia che c’era e dell’Italia che c’è. La dignità della condannata Loren, dietro le sbarre, è di gran lunga superiore a quella di un «mondo libero» che tenta disperatamente di guardare al di là delle sbarre, per colpire la dignità dell’attrice. Si fatica molto a non trattenere un sorriso ironico, ed anche un po’ amaro e beffardo, quando Sofia riceve la visita-ispezione di un magistrato che aveva letto di presunti privilegi concessi all’attrice in carcere. E vuoi che non scattasse una verifica, rigorosa, attenta, arcigna? Il magistrato arriva alla cella della Loren, con il piglio inquisitorio dovuto, poi poggia lo sguardo, e forse anche il volto, tra le sbarre e chiede con lo stesso impeto necessario per l’avvio dell’interrogatorio ad un criminale. «Lei chi è?», tuona il magistrato. Sofia Loren sta leggendo, sobbalza e indirizza gli occhi bellissimi verso lo «Stato». Risponde subito: «Nessuno». La verifica, inevitabilmente, si chiude qui. Pochi secondi, quanti ne bastano per far scattare un supplemento di giustificazione al rigorismo. Il giudice sussurra alla direttrice: «Privilegi non ce ne sono, però mi raccomando non facciamo preferenze». Poteva mancare la battuta nel film e la sceneggiatura sulla giustizia all’italiana? Magari, sarebbe stato un un regalo per i novant’anni di Sofia. Insieme alla ristampa di quegli articoli pubblicati da Mimì Rea, conoscitore delle storie di vita, della popolana diventata famosa finita laddove «c’è un enorme deposito di fratellanza». Sì, il carcere, sentenziò la lirica neorealista di Rea.