di Matteo Gallo
I suoi post sono una carezza alla storia della città di Salerno. Troppe volte dimenticata e molto spesso per nulla conosciuta. Una storia ricca di bellezza, mistero, simboli e significati che Tommaso Mainenti (foto in alto), magistrato classe 1959 con cuore e residenza nel centro storico, da anni divulga con poetica ampia condivisione via social. E non solo. Questo perché il giudice del lavoro del tribunale di Nocera Inferiore è riuscito a trasformare la lunga serie di contenuti testuali e fotografici pubblicati sulla pagina facebook ‘Salerno Archivio’ nella corposa architettura narrativa di due libri. Il primo si chiama ‘La Città Invisibile’, il secondo ‘La Porta d’Oro’ (foto a destra). Titoli eloquenti che si poggiano sopra fotografie differenti ma anche sulla medesima riga di sottotesto e di senso esegetico: “Angoli scomparsi, antichi toponimi, percorsi della memoria”. Definiti dall’autore ‘postbook’ proprio per evidenziarne la singolare genesi editoriale, i volumi sono stati stampati in autofinanziamento e le copie finite nelle mani dei lettori con un’offerta economica libera devoluta complessivamente alla mensa dei poveri di Salerno. Una «iniziativa amatoriale senza alcun obiettivo di profitto» che si è avvalsa di una speciale rilegatura granata capace di tenere insieme sia i luoghi scolpiti nel tempo da Madre Natura sia le opere realizzate nei secoli dalla sapienza umana. Una potente miscela pubblica di bellezza e conoscenza.
Dottore Mainenti, come nasce questo suo sguardo appassionato e attento alla storia della città di Salerno?
«Sono nato a Salerno e ci vivo da sessantacinque anni, sempre nel centro storico. Ne conosco ogni pietra, e di ogni pietra ho sempre avuto la curiosità di conoscere la storia».
Perché ha inteso dare alla sua opera di divulgazione – almeno all’inizio – un linguaggio prettamente social?
«Uso volentieri i social perché consentono, in maniera immediata e diretta, di comunicare i propri pensieri. Parlare della città sui social mi è allora venuto spontaneo, anche per arrivare ad una fascia della popolazione che un libro “serio” non lo riuscirebbe a digerire. Ho provato a dare informazioni corrette in forma il più possibile agile e facilmente leggibile».
Cosa la colpisce della storia di Salerno?
«Della storia di Salerno mi colpisce più di tutto il fatto che troppo spesso è poco conosciuta dai suoi stessi abitanti, che invece ne dovrebbero andar fieri».
In questi anni, proprio grazie alla sua iniziativa di divulgazione storica a colpi di post su Facebook, ha scoperto qualcosa della città che prima ignorava o non conosceva affatto?
«Ho iniziato a studiare la storia della città proprio perché la conoscevo poco; di sorprendente c’è un affastellarsi di costruzioni che, come in una moderna Troia, in tanti anni hanno inglobato e modificato il preesistente sempre entro una medesima ristrettissima area».
Questa esperienza di pubblicistica social cosa le ha lasciato, o magari insegnato?
«Questa esperienza da un lato mi ha arricchito, visto che, studiando, ho visto profili della città che non conoscevo. Contemporaneamente mi ha fatto capire, cosa che non immaginavo, che ci sono non poche persone, anche di livello professionale elevato, che non hanno nessun piacere che si scoprano altre tracce, anche affascinanti, del nostro passato poiché preferiscono continuare a coltivare il proprio orticello e godere di una rendita di posizione sull’esistente».
La Porta d’Oro’. Perché ha scelto di chiamare così la sua seconda raccolta di post su Salerno?
«Il titolo, che si riferisce a una ipotizzata porta urbana settentrionale prelongobarda, simboleggia la Porta d’Oro della conoscenza».
Il suo primo libro, invece, si chiama “La città invisibile”. Dentro – e dietro – questo titolo c’è più un sentimento di dispiacere o una volontà di denuncia?
«Questo titolo che ho dato al primo dei miei libricini è solo una constatazione: c’è larga parte dei miei concittadini che non vede niente delle bellezze nascoste o sepolte. Dubito che la situazione possa cambiare solo con i miei post, ma mi limito a fare quel che sento e che mi piace fare».
La Salerno invisibile è più bella della Salerno visibile?
«La città nascosta ha un fascino che da tanti anni ormai in quella visibile si è perso, alla ricerca di una omologazione, a mio avviso erronea, ad altre ed incompatibili realtà urbanistiche. La città invisibile allora è un’occasione persa. Non solo, è un’occasione che si sta sempre più perdendo in un gigantismo edilizio che fagocita un glorioso passato per proiettarlo verso un futuro senza anima».
La mancata conoscenza di una Salerno così ricca di storia (e di storie) rischia di condizionare negativamente il giudizio sulle sue potenzialità in termini di turismo culturale?
«L’ambizione verso una città “veramente” turistica annega, allora, tra iniziative che spesso non sono altro che il rincorrere la pancia del turista, intesa non solo in senso metaforico. Occorrerebbe una presa di coscienza della potenzialità attrattiva di una offerta culturalmente valida, con individuazione, allo stato molto deficitaria, di interessanti percorsi urbani e con una cartellonistica idonea».
Una cosa non particolarmente complicata…
«…eppure non mi pare che si riesca a vedere più in là del proprio naso. Sia da parte della maggioranza dei cittadini sia purtroppo da parte dell’amministrazione, che tale maggioranza legittimamente esprime».