di Corradino Pellecchia “In un ristorante di Torre del Greco, dove spesso andavo a mangiare con i miei, scoprii un pianoforte, incominciai a pigiare i tasti, rimasi affascinato da quei suoni. Il mio primo rapporto d’amore con l’“arte”, un’emozione pari solo al primo bacio. Senza nessuna guida, con solo due dita avevo imparato a strimpellare “Arrivederci Roma”, poi senza accorgermene, cominciai ad accompagnarmi con la voce, fino a che non mi trovai a cantare con l’orchestrina del locale, formata da chitarra, mandolino e fisarmonica. Capii che quella era la mia strada”. Confessioni d’artista. E’ l’incipit della carriera di Claudio Tortora, chansonnier, attore, commediografo, poeta, organizzatore di grandi eventi, fra cui il Premio Charlot: “Mi allenavo davanti allo specchio cantando su musiche registrate alla radio con il mio “Geloso”. La sera poi formavo degli improbabili gruppi musicali con i miei amici, fra cui Tano Pecoraro, e intonavo i successi del momento”. Sono gli anni Sessanta e, sulla scia del clamoroso successo del genere beat, nato in Gran Bretagna, nascono anche da noi, per un prevedibile fenomeno d’imitazione, numerosi complessi musicali. Tortora fonda “I Gold man”; la formazione è quella mutuata dai Beatles, variante Rolling Stones, perché lui è il front-men, il cantante, poi c’è la chitarra, basso e batteria. Il debutto ad una festa di carnevale con un microfono fittato da don Umberto Notini. “Avevo 16 anni e riscossi un successo che mi lasciò stupito – ricorda – Capii che avevo talento, ma il mio errore fu di non averlo affinato con lo studio. Queste, però, sono cose che si capiscono solo dopo. A diciotto anni partecipai ad un concorso per voci nuove che si teneva a Nocera. Si doveva concorrere con un pezzo inedito. Fui contattato da due autori che mi iscrissero alla gara affidandomi la loro canzone. Fu un vero trionfo, tutti mi davano per sicuro vincitore, ma inaspettatamente giunsi secondo. Immaginate la delusione. Venni poi a sapere che mio padre aveva fatto pressione sugli organizzatori per non farmi vincere, perché quell’anno dovevo sostenere la maturità scientifica e non voleva che avessi distrazioni. La mia risposta fu che con i guadagni delle mie serate mi comprai un pianoforte, firmando una barca di cambiali”. Tortora si esibisce con successo nei locali notturni in tour dal Cilento alla Costiera. A Palinuro, al termine di una serata, viene avvicinato da un milanese che era tra il pubblico: dopo essersi congratulato con lui, gli scrive un biglietto di presentazione per Gorni Kramer, suo grande amico. “Ancora frastornato, mi recai con il mio amico Tonino Olivieri a Cinisello Balsamo, dove abitava il maestro. Lo trovai in un bar che giocava a briscola. Aspettai che finisse la partita, poi mi presentai e gli diedi quella noticina per me preziosissima. Kramer mi rivolse un sorriso: “Bene, se lo dice lui, vuol dire che sei veramente bravo. Sali su a Milano”. Ma come ogni bravo meridionale, scelsi il sole, il mare, il calore della mia terra. Continuai così la mia strada”. Nel 1971 Tortora partecipa con un brano di Fausto Leali alle selezioni regionali del concorso “Disco d’oro”, location il cinema-teatro Augusteo. Risulta primo ed accede alle semifinali di Roma, dove si classifica fra i primi sei conquistando il pass per le finali nazionali di Piacenza. “Nel camerino mi vennero a trovare Claudio Villa e il nostro concittadino Mario Di Gilio, che aveva fatto fortuna a Milano come imitatore – rievoca lo showman – “Guagliò, mi disse, ti ho sentito riprendere il maestro d’orchestra e questo non si fa, perché quello poi ti punta e fai ‘a fine d’’e botte a muro. Comunque sei bravo e ce la puoi fare”. Di Gilio fu buon profeta, perché Tortora vinse a mani basse la gara. Visto il successo della manifestazione si decise di ripetere la serata al teatro Verdi di Salerno, per effettuare la ripresa Rai. “Nella mia città, manco a dirlo, con una giuria tutta salernitana, arrivai secondo. Ferraioli sulla rivista Noi, titolò: “la vergogna di Salerno”. Ripensai allora alle parole che con tanta amarezza mi aveva detto Di Gilio nel camerino a Piacenza: Io, se dalla Sicilia devo andare a Milano, prendo un aereo che non passa su Salerno. Questo episodio lo racconto sempre come esempio della provincialità della nostra città, che vive nel passato, in mano alle solite famiglie camaleontiche che fanno il bello e il cattivo tempo”. Nel ’72 Tortora insieme ai fratelli rileva da Vittorio Paravia il locale “Il Girasole” di Paestum. Tre anni di successi. Sulla pedana di quello che diventerà il ritrovo più amato dai salernitani si esibiranno artisti del calibro di Ornella Vanoni, Johnny Dorelli, Bruno Martino, Peppino Di Capri, Peppino Gagliardi, Fred Buongusto, Fausto Papetti. Lui col suo complesso fa da apripista; cavallo di battaglia un arrangiamento moderno di “Palomma ‘e notte”, tanto richiesta da fargli affibbiare il soprannome di “Palummella”. Galeotto fu l’incontro con l’attore Vincenzo Tafuri, che lo invoglia a fare teatro e lo presenta a Tina Trapassi ed Annabella Schiavone. E’ la svolta della carriera. Prima come caratterista e poi in parti sempre più importanti, ha l’opportunità di mettersi in mostra e di evidenziare la sua vena comica. Ma è una svolta anche per la sua vita sentimentale, perché frequentando la Compagnia conosce Renata Tafuri, la sua futura moglie, che gli darà due figli: Gianluca e Valentina, che ne ripercorrono le orme. Con l’avvento delle televisioni libere, Nello Talento gli affida l’incarico di direttore artistico di Telesalerno. Tortora crea numerosi programmi di successo, fra cui “Piccola Ribalta” e “Il Buttiglione”, un quiz dove si vincevano ricchi premi, indovinando quanti fagioli sono contenuti in un bottiglione. Dopo qualche anno lo stesso gioco lo vedremo proposto in una fortunata trasmissione dalla Carrà. Quando si dice la combinazione! La necessità spinge Tortora anche a cimentarsi come autore dei testi e delle musiche delle trasmissione da lui curate. Negli studi di Telesalerno ha la fortunata occasione di conoscere Gaetano Stella, col quale stringe una fruttuosa collaborazione: “Iniziammo ad acchiapparci artisticamente fino a travolgerci”. Con Stella e Giorgio Sabatino, Tortora fonda il gruppo cabarettistico “La Rotonda”, che approderà a “Domenica In”, allora condotta da Pippo Baudo, riscuotendo un clamoroso successo. “Il nostro intervento venne seguito da tredici milioni di spettatori – dice con malcelato orgoglio Tortora – Quel passaggio ci consacrò definitivamente e fece da viatico per importanti serate in tutta Italia; al “Teatro delle Muse” di Roma tenemmo cartellone per quindici giorni. Il proprietario, l’impresario Padovani, voleva a tutti i costi prolungarci il contratto per un mese, ma la nostalgia di casa incominciava a farsi sentire, così rinunciammo ad una grande occasione. Ritornammo poi a Roma per una serata al teatro “Aurora”, fra il pubblico c’erano Laura Antonelli, Jean Paul Belmondo e numerosi addetti ai lavori. Fu un successo. Al termine dello spettacolo mi avvicinarono due persone che volevano scritturarmi per cantare la sigla di uno spettacolo Rai, ma non me la sentii di abbandonare sul più bello i miei compagni, così rifiutai. Inutilmente: Giorgio Sabatino lasciò il gruppo per motivi di lavoro, sostituito da Giuliano Avallone; poi, fu la volta di Gaetano Stella, rimpiazzato da Antonio Angrisano e, per un breve periodo, da Antonio La Monica. Non mi persi d’animo e continuai con i miei nuovi compagni di viaggio. Tanta radio, televisione, locali, manifestazioni, che mi offrirono l’opportunità di incontri con artisti famosi”. Snocciola aneddoti-gemme. “Ricordo le interminabili partite a scopa con Claudio Villa, che non riuscì a vincermene una, con mio grande imbarazzo – sorride Tortora – Ogni volta facevo il gesto di rifiutare la vincita, la posta era di ventimila lire a partita, ma lui insisteva: “Al gioco bisogna essere precisi ed onorare gli impegni, più che nella vita”. L’ultima sera, per farlo recuperare, alzai la posta a centomila lire, ma sebbene avessi fatto di tutto per perdere, ebbi una fortuna sfacciata. Il “reuccio” con la faccia di chi non è abituato a perdere, mi mollò il centone dicendo: “Al gioco bisogna essere precisi ed onorare gli impegni più che nella vita, però bisogna pur dire che porca…” e giù una scarica di parolacce e forti allusioni al mio lato “b”. In un’altra occasione conobbi Pamela Prati che ogni volta che veniva a Salerno si fermava a casa nostra, era pazza dei miei bambini con cui giocava a lungo. Fra una serata e l’altra, partecipammo ad un provino a Roma per un programma con Alida Chelli, nientemeno che con il regista Romolo Siena. Quando venne il nostro turno, ad esibizione in corso, i cameramen chiesero di sospendere il provino, perché non riuscivano a trattenere le risate. Siena ci portò al bar: “Quasi mai i cameramen ridono. Quando accade, vuol dire che c’è talento. Il programma è vostro”. Cominciammo a scrivere i testi con gli autori Broccoli e Gigante, ma venimmo a sapere che il programma ci era stato tolto. Qualcuno in alto aveva posto il veto. Fu un fulmine a ciel sereno, e dire che ci avevano mandato anche i biglietti dell’aereo per Milano. Sfumò poi il provino per lo spettacolo televisivo “Drive In”, per un colpevole ritardo. “Sieti stati proprio stupidi e superficiali” furono le parole con le quali il regista Nicotra a malincuore ci congedò. Una mazzata tremenda. Ritornammo a fare serate, ma il momento buono era ormai passato. Il talento c’era, mancò la fortuna e la spintarella giusta”. Nel 1989 Tortora acquisisce il teatro “Il Ridotto” e decide di organizzare un festival di cabaret. E’ lo start del “Premio Charlot”, nato per promuovere i nuovi talenti della comicità, la cui prima edizione si svolse sul forte “La Carnale”, alla presenza di Rita Vicario, regista degli spettacoli “Quelli della notte” e “Indietro tutta” di Renzo Arbore e di Pier Francesco Pingitore, fondatore insieme a Mario Castellaci della Compagnia del Bagaglino. Fu un successo, come “Luci della Ribalta”, la rassegna organizzata alla Certosa di Padula con un cartellone a cinque stelle: Gigi Proietti, Montesano, Maurizio Costanzo, Nureyev, Grillo. Altri amarcord: “Portai a cena Beppe al ristorante Santa Lucia; il pranzo si concluse alle sei di mattina con una grande melonata, alla quale Grillo invitava a partecipare i passanti occasionali”. Nel ‘92, Tortora, con Cesare Zavattini e Carla Vistarini, è fra gli autori della 42ma edizione del Festival di Sanremo, famosa per l’irruzione di “Cavallo Pazzo” sul palco dell’Ariston. “Confesso che quando ricevetti la comunicazione, non dormii per tutta la notte. Fu un’esperienza unica – si commuove l’attore – un’emozione indescrivibile ascoltare da dietro le quinte i miei testi letti da Pippo Baudo, Milly Carlucci, Alba Parietti e Brigitte Nielsen”. Nel 1995 il sodalizio con Nino Frassica; insieme portano per due anni il “Premio Charlot” alla Rai, e il programma fa registrare uno share del 19%, un successo al di sopra di ogni aspettativa. Ma, inaspettatamente, il Comune di Salerno decide di non finanziare più la manifestazione e, venuta meno l’ambientazione, cadono anche i presupposti per firmare il nuovo contratto con la Rai. Ma Tortora si rimbocca di nuovo le maniche: “Quando devi alzare la testa lo devi fare guardando dritto davanti a te, senza farti superare dal passato che sta già alle tue spalle”. Sceglie la prestigiosa location dell’area archeologica di Paestum: il “Premio Charlot” è ancora forte e presente. E ritorna Mamma Rai. Il vulcanico Tortora sempre più gasato non si ferma più: è one man show in uno spettacolo dove propone lo storico personaggio di “Spalletta”, il guappo di cartone che parla dell’attualità con lo slang dell’Agro nocerino-sarnese; compone l’inno della Salernitana, che sta volando verso la serie “A”, e una compilation di tutti i cori della curva, arrangiati da Marcello Ferrante, insieme al quale monta lo spettacolo “Ti ricordi quella sera?”, un medley di 280 canzoni degli anni Sessanta, che replica per dodici anni in giro per la Campania. Il 2004 è l’anno di una nuova impresa titanica. Insieme al fratello Franco, Peppe Natella, Gaetano Stella, Marcello Ferrante e Pina Testa, rileva lo spazio del Teatro delle Arti, facendolo diventare un contenitore polifunzionale, dove si ritrovano cinema, teatro, danza, formazione. Nel 2011 Claudio Tortora può finalmente realizzare il sogno della sua vita: “Vita d’Artista”, il musical che ripercorre il mito del più grande artista comico del Novecento, Charlie Chaplin, il suo adorato Charlot. “Avevo in mente da anni di realizzare questo progetto – dice l’autore – l’ho pensato nello stile classico della commedia musicale all’italiana, dove il testo e la musica sono quasi bilanciati, dove c’è una storia detta e una canzone che ti resta nella testa e magari fischietti uscendo dal teatro”. Lo spettacolo, con la regia di Gaetano Stella, le coreografie di Pina Testa, le musiche dello stesso Tortora e Marcello Ferrante, con un cast tutto salernitano, esordisce al Teatro delle Arti e viene poi riproposto con successo in altre città italiane. Il 2011 è anche l’anno di “Emozionando”, uno spettacolo, sussurrato, di pensieri, poesie, canzoni e immagini, in cui Claudio evidenzia la sua vena più malinconica. “Ho voluto farmi interprete – dice il poliedrico artista – del sentire della gente comune che anela ad un risveglio delle coscienze, per una vita dove i valori ritornino ad avere il loro ruolo centrale”. Nel 2012 si prende una gran bella soddisfazione: gli viene chiesto ufficialmente di riportare il “Premio Charlot” a Salerno. In cambio, pretende che si svolga all’Arena del Mare, a piazza della Concordia. Quest’anno la manifestazione, che come la Settimana Enigmistica vanta numerosi tentativi di imitazione, ha festeggiato i 100 anni del primo film interpretato da Charlie Chaplin (il 2 febbraio 1914 esordiva infatti nel corto “Making a living”, film conosciuto in Italia con il titolo “Charlot giornalista”, dove già s’intravedono alcuni tratti caratteristici della maschera del vagabondo). Nel 2014 “Vita d’Artista” diventa anche un libro, edito da Phasar Edizioni di Firenze, con la prestigiosa presentazione dello storico e critico cinematografico Valerio Caprara. Ne ha fatto di strada quel ragazzino spavaldo che improvvisava concerti con pentole e posate e con un microfono preso in fitto. Caro amico “Vagabondo”, davanti a te ancora tanta strada da percorrere, noi al tuo fianco ad applaudire le tue sfide.
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