di Gennaro D’Amico
Dopo cinque anni, l’8 e 9 giugno prossimi, gli elettori saranno chiamati al voto per procedere al rinnovo del Parlamento Europeo e dell’intera governance dell’Unione stessa. Sono elezioni che pesano, è chiaro. La politica europea, ormai da molti anni, non gode di grande popolarità. Gli eventi che si sono susseguiti nel tempo hanno segnato momenti difficili, numerose sono state le criticità affrontate e che hanno messo a dura prova la tenuta delle istituzioni europee. Ed è in questo clima che l’Unione ha dimostrato la sua vera natura di comunità che è anche il motivo per cui nel 1957 si è dato inizio a questo “sogno europeo” che oggi conta 27 stati membri e 24 lingue ufficiali.
Eppure l’Unione Europea non sempre ha dimostrato quella grande unità di cui si è soliti parlare. Tanti sono stati i momenti in cui è servita da trade union ma, allo stesso tempo, diverse sono state le occasioni in cui si è percepito, nelle sue diverse componenti, come essa si sia rivelata molto divisa. Ora siamo ad un nuovo punto di svolta. Se cinque anni fa ci si chiedeva se avesse avuto senso l’esistenza dell’Unione Europea, l’interrogativo ricorrente oggi è cosa deve fare l’Unione Europea per sfruttare al meglio la sua unità, integrità, la sua forza e la sua potenza. In virtù di cosa, a prescindere dal nome su cui ciascuno di noi metterà la propria X, bisogna scommettere sull’Unione Europea?”
Veniamo da un quinquennio in cui l’Europa ha vissuto uno dei periodi più difficili e incerti della sua storia. Ad un anno dalle elezioni del 2019, le istituzioni europee si ritrovarono a gestire la pandemia Covid, la quale inevitabilmente ha segnato un periodo storico. Il post pandemia ha rappresentato l’inizio di un periodo rivelatosi foriero di scelte che ha visto l’UE mettere in campo una strategia virtuosa volta al futuro. Merita menzione, ad esempio, il progetto Green Deal, ovvero un pacchetto di iniziative strategiche che mira ad avviare l’UE sulla strada di una transizione verde, con l’obiettivo ultimo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Ma il post Covid19 è stato segnato dall’attuazione del piano NextGenerationEU, uno strumento temporaneo da 750 miliardi di euro pensato per stimolare una “ripresa sostenibile, uniforme, inclusiva ed equa”, volta a garantire la possibilità di far fronte a esigenze impreviste.
Questo ha rappresentato il più grande pacchetto di misure economiche mai finanziato dall’UE. Ad oggi, l’Italia ha ricevuto 102 miliardi di euro di fondi corrispondenti a più della metà delle risorse totali del Piano. Tutto questo, sarebbe stato possibile senza un’Europa? Tante volte abbiamo assistito a dibattiti in cui si metteva in dubbio l’utilità del vivere sotto la bandiera europea e molti sono stati coloro i quali hanno millantato l’opportunità che l’Italia potesse un giorno decidere di abbandonare il tavolo degli stati membri dell’Unione Europea. Quando nel lontano 1957 vi fu la firma dei Trattati di Roma, istitutivi della Comunità Economica Europea (CEE), è stata compiuta la scelta di rinunciare ad una sovranità monetaria, economica, per demandarla ad un organo superiore attraverso un’oculata visione di chi ha preferito di rinunciare a pezzi di sovranità, ma nell’ottica di aderire a una comunità che, nel tempo, avrebbe permesso lo sviluppo di strategie comuni e aperto nuove prospettive a tutti i paesi membri. Ecco il senso di Europa, di collettività, di cammino comune. Seppur importante appuntamento elettorale che segnerà la politica europea dei prossimi cinque anni, le elezioni europee però non attirano molto l’attenzione dell’elettorato il quale le percepisce distanti.
Per ovviare a questo problema il Parlamento Europeo ha promosso la campagna mediatica intitolata “Usa il tuo voto”. Questa ha come unico obiettivo quello di sensibilizzare le nuove generazioni, – rivolta principalmente a chi si recherà per la prima volta alle urne -, sull’importanza dell’esercizio del diritto di voto. Andare a votare non è soltanto un diritto, è un dovere! È abbastanza facile per tutti noi oggi parlare di “diritto di voto”, ma bisogna pensare a come si è giunti a tale libertà e guardare anche a chi non è nelle nostre stesse condizioni di poterlo esercitare. Assistiamo a scene paradossali in cui vi sono militari che liberamente entrano nei seggi e controllano il voto del cittadino, oppure Paesi in cui andare a votare non è consentito affatto. Ecco, quando sentiamo dirci che non è utile andare a votare o vediamo una persona che si disinteressa alla politica, allora compito di ciascuno è quello di spronarlo ad interessarsi. È pur vero che un modo di fare politica allontana le persone dall’attaccamento alla cosa pubblica, ma dovrebbe essere compito di coloro i quali rappresentano, in Europa e in ogni singolo paese membro le istituzioni, essere portatori di esempi di buona amministrazione e di cultura istituzionale.
Solo con un giusto equilibrio tra un’Europa che possa dimostrarsi vicina alle generazioni attuali e a quelle che verranno in futuro, saremo tutti in grado di poter parlare di un’Europa viva, che guarda al domani e che è destinata a crescere. Andiamo a votare, esercitiamo il nostro diritto e dovere, per noi e per coloro che verranno.