Una città finta, quasi vera - Le Cronache
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Una città finta, quasi vera

Una città finta, quasi vera

di Alfonso Malangone*
Era effervescente via Tasso, Giovedì mattina. A partire da via dei Canali, e fino a qualche decina di metri più in su della Soprintendenza, una voce imperativa guidava le riprese di un film che, come già detto in altra occasione, racconterà la storia dei tanti bimbi affidati nel dopoguerra a famiglie del Nord per sottrarli alla fame e alla miseria. In quel tratto di strada, alcuni locali sono stati trasformati in bassi, o ‘vasci’, per ricostruire la sofferenza di una Città uscita lacera e malconcia dal bombardamento del 21 Giugno 1943 con la sua scia di lacrime e di dolore per i danni materiali e le centinaia di vite strappate. Un ritorno al passato, realizzato con l’utilizzo di quinte di legno e cartongesso, di tendaggi rattoppati, di umili suppellettili e panni appesi, che non ha mancato di provocare angoscia quando sono apparsi alcuni ragazzi trasformati in bimbi macilenti e sporchi, con i visi cosparsi di nerofumo, con pantaloncini laceri e con ai piedi scarpe più grandi di loro. I giovani di oggi dovrebbero essere davvero riconoscenti per le condizioni delle loro vite. Se, però, è sembrata crudele la scena relativa ad eventi di 80 anni fa, non meno crudele è apparsa la visione della strada nella finzione di un adattamento scenico che poche modifiche ha apportato alla sua quotidiana condizione. A iniziare dai basoli sconnessi, smossi e rabberciati con il bitume, dai portoni sbocconcellati dei palazzi e dei locali in abbandono, dai cancelli arrugginiti, dai balconi sghembi. Chissà che la zona non sia stata scelta proprio per questo, magari per riprendere anche il cortile di Palazzo Ruggi, sede della Soprintendenza, nel quale la Fontana di Nettuno rende davvero difficile immaginare il futuro di tanti luoghi di storia e di cultura ai quali è stato sottratto il presente e il passato. Infatti, in questa Città millenaria, sono molti i ‘monumenti’ abbandonati ad un infausto destino, benché siano la concreta espressione dell’abilità e del talento di coloro che, nel realizzarli, le hanno donato dignità e onore. A ben vedere, Salerno non ha meno di altri centri con le medesime dimensioni. Ha solo recuperato di meno. Come sede del Principato dei Longobardi e dei Normanni, come Città Opulenta, come prima Capitale di tutto il meridione con Roberto d’Altavilla, il Guiscardo, con le Regge di San Massimo e Castel Terracena, con i tanti Monasteri e le tante Chiese, con la Scuola Medica più antica d’Europa, avrebbe tanto da dire, da mostrare, da tramandare. Così, davvero non c’è stato bisogno di ‘camuffare’ le scalinatelle dell’Intendenza Vecchia che, come una macchina del tempo, portano ad un luogo che ha più di 1.200 anni di vita. Proprio alle spalle della Soprintendenza esiste tuttora, ma non si sa per quanto tempo ancora, la ex Chiesa di Santa Maria de Alimundo, struttura del 990, cioè più antica del Duomo. Purtroppo, il disinteresse e l’incuria hanno consentito di ridurre questo ‘dono ’ ad un cumulo di macerie e di rifiuti in conseguenza di azioni vandaliche che possono causarne la perdita definitiva. Eppure, c’è chi dice che sotto al pavimento ci sia la tomba di Masuccio Salernitano, cittadino del 1.400 dalle nobili origini ricordato per aver scritto cinquanta racconti, fortemente ribelli per i tempi, raccolti nel libro ‘il Novellino’. Chissà, se la Soprintendenza abbia svolto qualche indagine. Anche perché qualcuno sostiene che da uno dei racconti sia stato tratto il più famoso dramma di Giulietta e Romeo che, a Verona, alimenta ben diverse emozioni. Vera o falsa, la narrazione avrebbe potuto essere utilizzata per attrarre flussi di visitatori tra quelli che scelgono l’Italia proprio per vivere sensazioni altrove impossibili. E, comunque, Santa Maria de Alimundo non è la sola. Altre strutture hanno la stessa età e potrebbero essere inserite in un percorso storico-culturale-turistico, il ‘Mille d’Oro’, in grado da fare invidia a molte località che si vantano solo per qualche reperto. Al Mille, e ancor prima, risalgono San Piero a Corte, Sant’Andrea de Lavina, Santa Maria de Lama, San Benedetto, San Michele, Santa Lucia già Santa Maria de’ Mare, Santa Trofimena, San Rocco già San Petrillo, Santa Maria Maddalena o di Materdomini e altre ancora, anche sconsacrate. In questi giorni, poi, si è letto sul web delle vecchie mura longobarde, inglobate tra i palazzi e prive di qualsiasi cura, mentre sono ben note a tutti le condizioni degli Archi del IX secolo di via Arce, quelli di Barliario, avvolti in un sudario che sa di morte imminente. Né siamo stati capaci di valorizzare la novella dell’amore tra Antonella e Raimondo presso la corte di Margherita di Durazzo, regina di Napoli trasferitasi in Città. Di quella triste storia fu testimone la fontanella di fronte alla Chiesa di San Benedetto. Magari, qualcuno dirà: “dov’è”? Perché le sue condizioni neppure la rendono degna di uno sguardo fugace. Né di rinfrescarsi, per timore di qualche infezione. E, comunque, nessuna ‘finzione’ scenica sarebbe necessaria salendo ancor più in alto, sempre nel Centro Storico. Film dei ‘tempi che furono’ si potrebbero girare liberamente a Largo Montone, nello spiazzo con la Fontana di Palazzo Copeta e, di seguito, fino alle vecchie Carceri, esempio fulgido del disinteresse protratto per decenni. Adesso, dopo aver tentato di vendere per due volte Palazzo San Massimo, si sta tentando di alienarle, come fossero un ‘fastidio’ da eliminare, replicando la cessione da parte della Curia del Conservatorio di salita Montevergine, sulla cui vicenda la Soprintendenza ancora non si è espressa, neppure in accoglimento della richiesta avanzata dal prof. Aniello Salzano, cittadino di alta sensibilità e cultura. Il Centro Storico è l’anima di ogni Città, grande o piccolo che sia. Esprime l’evoluzione della sua civiltà. Riunisce gli abitanti intorno alle comuni radici. Assicura la continuità tra passato, presente e futuro. Nelle attuali condizioni, la nostra area millenaria appare purtroppo segnata da scelte che ne hanno sminuito significato e funzione trasformandola in luogo di macerie fisiche e morali sotto le quali sono sepolte l’identità e l’umanità della gente. Così, davvero non è difficile riprodurre le condizioni del dopoguerra. Salerno è una Città ‘finta’, tremendamente vera.
*Ali per la Città