di Erika Noschese
«Salerno è una provincia in grande espansione, la seconda della Regione per aver raggiunto – grazie ad un sistema produttivo molto vivace, costituito da oltre 120mila imprese che esportano beni per oltre 3 miliardi e mezzo di euro, ancora in crescita del 20% nel 2022 rispetto all’anno precedente». Lo ha dichiarato il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, intervenuto ieri mattina all’assemblea di Confindustria Salerno attraverso un lungo video messaggio nel quale ha fatto il punto della situazione sullo stato di salute delle imprese, a livello regionale e nazionale. Il ministro ha infatti evidenziato l’importante contributo che ha permesso di accrescere l’export ed il Pil italiano. Si evidenzia un tasso di occupazione superiore alla media regionale di oltre 4 punti percentuali, 47.9% a Salerno a fronte della media di 43.4%. «Siamo però ancora ben distanti dalla media nazionale che si attesta sull’oltre 60%, oltre il 14% del traffico relativo al Porto, una realtà complessa che ha ancora diversi problemi da affrontare per assicurare una crescita del territorio. Il dato è significato e va nell’ottica di una riflessione complessiva: il porto di Salerno è stato un elemento di sviluppo e in questo insieme di dinamiche la provincia è rappresentativa di un’Italia chiamata alla sfida della doppia transizione, digitale e green in un contesto globale ed europeo caratterizzato da profondi cambiamenti di cui dobbiamo tenere conto. Innanzitutto la crisi energetica, certamente e su tutto la tutela ambientale – ha detto il ministro – Quindi, l’approvvigionamento di materie prime critiche sono gli ambiti prioritari della nuova politica industriale adottata per restituire la giusta centralità alla difesa degli interessi nazionali, che significa anche e soprattutto nel contesto italiano la difesa della produzione e del lavoro italiano. A seguito della crisi energetica scatenata dall’invasione russa in Ucraina, il Governo ha introdotto politiche per accelerare il percorso verso gli obiettivi Net Zero già condivisi in Europa, ma in modo responsabile e concreto, con il buon senso. La risposta dell’impresa è andata oltre le nostre aspettative». Secondo Urso, «il 60% delle nostre imprese ha intrapreso azioni a favore della sostenibilità e più della metà l’ha fatto sul fronte della tutela ambientale investendo soprattutto nell’utilizzo di energia da fonti rinnovabili e anche in efficienze energetiche. Ancora una volta le aziende, quando lo Stato agisce nella giusta direzione, rispondono e dimostrano grande flessibilità, capacità di adattamento e resilienza. Siamo consapevoli che i buoni risultati raggiunti devono consolidarsi e per questo dobbiamo accelerare seguendo la strada che abbiamo intrapreso. La revisione del Pnrr condurrà a indirizzare nuove risorse sulle misure che hanno dimostrato efficacia: quindi il gradimento delle imprese e i risultati in linea con i tag imposti a livello europeo- ha aggiunto – Dobbiamo spostare le risorse dai capitoli dove si sono arenati o dove si potrebbero arenare a linee che abbiano un effettivo e immediato impatto sul nostro sistema di imprese, sul nostro sistema sociale. Per questo il piano 5.0 si candida a essere rifinanziato in misura significativa in modo da restituire slancio agli investimenti. Le nuove risorse ci daranno una visione più flessibile del Pnrr come noi richiediamo dalla commissione europea. Gli ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione impongono una radicale trasformazione dei processi produttivi, nonchè un intensivo uso di elementi naturali che, per le loro proprietà chimiche e fisiche e per la loro resa economica, sono difficilmente sostituibili in un breve orizzonte temporale». Il ministro del Made in Italy ha poi ricordato che la produzione industriale italiana dipende da Paesi terzi e, dunque, l’Italia «è un Paese trasformatore, meglio degli altri, ma sempre un Paese trasformatore. Siamo il Paese più esposto, con un’incidenza sul Pil pari al 38%, a fronte del 33% tedesco, del 23% spagnolo e del 10% francese. Cioè siamo il Paese in cui l’indice di materie prime critiche utilizzate in riferimento al Pil è quello più significativo. Ciò significa che dipendiamo, certamente, dall’approvvigionamento di queste materie prime critiche, ma significa anche che abbiamo un sistema industriale che più di altri si è già incamminato a utilizzare le materie prime critiche che servono alla tecnologia green e alla tecnologia digitale. L’esperienza ci ha insegnato che è prioritario scongiurare la dipendenza dall’estero, soprattutto da Paesi politicamente distanti e instabili. Noi dobbiamo evitare di passare da una posizione di sudditanza verso la Russia per il gas, a quella subordinazione ancora peggiore e più rischiosa verso la Cina per il litio, nichel, gallio, tungsteno e molto altro. Peraltro, noi abbiamo, nel nostro sottosuolo, molte di queste materie prime critiche. Le abbiamo anche in Campania, in Sardegna, nel Lazio, in Toscana, in Liguria, lungo l’arco alpino. Abbiamo cobalto, litio, manganese, titanio. Abbiamo sedici delle materie prime critiche considerate fondamentali per la tecnologia green e digitale. Utilizziamole, già quelle che abbiamo nel nostro territorio».