di Michelangelo Russo
Il primo luglio va in pensione il Sostituto Procuratore Generale Antonella Giannelli.
Ha rappresentato in Appello l’Accusa contro il Governatore Vincenzo De Luca nel 2016, quando la sua condanna eventuale, per la seconda volta, avrebbe significato per De Luca l’immediata decadenza dalla carica. Il Pubblico Ministero Giannelli sostenne la tesi accusatoria con la maestria delle sue capacità, impegnando la Difesa in una arringa di due ore. L’assoluzione piena (presiedevo il collegio che emise la sentenza) non la convertì all’acquiescenza, in un processo che era in punto di diritto più che di fatto (abuso di ufficio, di modesta entità). Imperterrita, Antonella presentò ricorso in Cassazione, convinta del fondamento della sua lettura dei fatti. La Cassazione confermò l’assoluzione. Che non la scompose. Accettava senza commenti le sconfitte (poche, nella sua carriera) come non si gloriava delle sue vittorie. Entrata in magistratura giovanissima, quando la “quota rosa” era praticamente irrisoria e nessuna donna era ancora a capo di un ufficio giudiziario (le donne erano state ammesse ai concorsi appena dieci anni prima) ebbe come primo incarico la Pretura di Cetraro, in Calabria. Nel pieno dell’espansione selvaggia della speculazione mafiosa sui litorali, la timida giudice ragazzina si rivelò fatta d’acciaio e tutt’altro che flessibile alle regole sotterranee dell’ambiente, improntate a un regime di convenienza e di routine dell’azione giudiziaria, per lo più limitata ai furti di autoradio e di galline. Giannelli arrivò poi a Salerno, come Giudice Istruttore. Ancora poche le donne, e poco sonore con voce di dissenso. Antonella la voce la aveva, eccome! Spesso acuta, e risonante nei corridoi quando sapeva di avere ragione. Carattere non facile, e puntuto. Nel nuovo incarico di Pubblico Ministero alla Procura di Salerno, è stata croce e delizia per gli avvocati. Croce perché era irremovibile ed aliena ad ogni compromesso strategico o mediatore con i difensori, spesso timorosi di quei suoi improvvisi scatti di chiusura totale al dialogo, di fronte a pretese della Difesa da lei giudicate insostenibili. Ma anche delizia, perché gli avvocati le riconoscevano la preparazione giuridica profonda ed eccellente, che sarebbe tornata a vantaggio degli stessi imputati di fronte a processi basati su accuse traballanti nell’impostazione della prova processuale. Antonella non si è mai fatta scrupoli nel demolire in dibattimento ogni castello accusatorio costruito imprudentemente, da qualche collega PM, senza osservare i criteri razionali di valutazione del materiale probatorio. E questo gli avvocati lo hanno sempre apprezzato moltissimo, perché indice di coraggio e di dignità del magistrato. Minuta, la toga di lunghezza eccessiva, immersa in pensieri riepilogativi mentre attraversava i corridoi per andare in udienza, così la ricorderemo sempre noi giudici della ormai pensionata generazione dei “magistrati intellettuali”, come sprezzantemente ci definiva un tempo il Cavaliere nazionale. Antonella Giannelli ha fatto parte di questa compagine, dalla prima ora. Si schierò, senza alcun timore, dalla parte della visione progressista e costituzionale del ruolo del Giudice. E’ stata sempre tra le prime firmatarie dei più accesi documenti dell’Associazione Magistrati contro la subdola lotta del Potere Politico all’indipendenza del giudice. Ha sfidato in prima fila capi degli uffici sornionamente tiepidi nelle grandi battaglie giudiziarie degli anni ottanta e novanta, quando il vento di Tangentopoli soffiò anche a Salerno, che fu tra le poche eccezioni dell’Italia della linea “delle palme e dei caffè”.
Una quindicina di anni fa, il Consiglio Superiore della Magistratura la nominò Procuratore Capo del Tribunale di Pinerolo, in Piemonte. Era un grosso riconoscimento, e un grande avanzamento nel curriculum. Ma Antonella Giannelli rifiutò. Per lei, gli impegni di madre e di famiglia venivano prima delle aspirazioni legittime. Donna, quindi, madre e moglie, prima che Magistrato in carriera. Eppure, la intravvidi talvolta, al nono mese di gravidanza, recarsi in Tribunale per controllare che in ufficio non ci fossero urgenze o problemi. E quando nacque il bambino, si racconta che telefonò all’esterrefatto Procuratore Capo per scusarsi che per quel giorno, per motivi da lei definiti burocraticamente “di salute”, non poteva recarsi in ufficio. E solo dal giorno dopo ammise poi, ufficialmente, di essere in maternità. Quando internet e il facile consulto elettronico della Giurisprudenza non esisteva ancora, Antonella era il nostro “computer”. Conosceva già, prima degli altri, la giurisprudenza aggiornata. Solo negli ultimi tempi una malattia purtroppo devastante ha minato questo carattere ribelle e atipico. Ad Antonella Giannelli va adesso il saluto e l’affetto di quelli della sua generazione. “I Magistrati intellettuali!”.